Nelle parrocchie si fa molto e si pensa poco. Mancano il tempo e la voglia

Foto: Sotto il Monte, Ca’ Maitino, la residenza “estiva” del card. Roncalli

Martedì 18, a Sotto il Monte, ha preso avvio un importante
convegno.

Tema: la Costituzione del Concilio Vaticano II sulla Parola di Dio, la “Dei Verbum”.

Il convegno è promosso da un gruppo di laici e preti che,

lungo tutto l’anno, riflettono sul tema scelto,

elaborano delle relazioni

che poi vengono presentate al convegno.

Il tema non è trattato da specialisti,

ma in un modo che interessa tutti, nella Chiesa.

 

Un sogno non realizzato

In apertura del convegno, uno degli animatori del gruppo, don Giuliano Zanchi, segretario generale della Fondazione Bernareggi e direttore del museo diocesano, ha ricordato le ragioni di questa iniziativa, nata, esattamente vent’anni fa, sotto la spinta di don Sergio Colombo, l’indimenticato parroco di Redona, scomparso nel 2013. Il convegno era iniziato con il sogno di far nascere un “movimento” di gente che lavora nelle parrocchie, nei vari settori della vita comunitaria. L’intento era di offrire la possibilità a questa massa di gente non solo di fare, ma di fare bene. Avrebbe dovuto essere un movimento di gente che fa pensando e che pensa facendo.

Il sogno, ha fatto notare don Zanchi, è di ritenersi irrealizzato. Il “movimento” non è nato. È rimasto il gruppo che prepara il convegno e il gruppo che, ogni anno, si trova a pensare ai temi che vengono proposti. Dunque l’evento del convegno è positivo per quello che fa. È negativo per quello che non è riuscito a fare.

Bello che ci sia qualcuno che ragiona. Fa un po’ mestizia che il pensare sia comunque faccenda di pochi.

La distanza fra chi fa e chi pensa

Resta così irrisolto e incerto il tema del rapporto fra cultura e pastorale, e quindi il rapporto fra chi pensa e che fa. È un’antica diatriba questa, con rimandi e accuse reciproche di inadempienze e di incongruenze. In effetti, se qualcuno nella Chiesa pensa diventa automaticamente minoranza. E spesso minoranza perché la maggioranza lo ha silenziosamente delegato a pensare al suo posto. Dall’altra parte, spesso chi fa teologia non si preoccupa del come fare Chiesa. E la divisione resta.

La cosa fa riflettere proprio alla luce del Concilio Vaticano II. Il lascito più importante del Concilio, infatti, non sono tanto le idee contenute nei documenti quanto l’atteggiamento “interpretativo”, cioè la preoccupazione di rispondere al mondo e alla cultura. Per questo il Concilio si è definito “pastorale”: non era sua intenzione pronunciare dottrine e comminare condanne, ma “rileggere” il mondo e gli uomini di oggi per parlare poi ad essi, efficacemente.

Si è persa la passione di capire

Ora, è un fatto che il Concilio non è più molto ricordato e non è più ricordato con la passione di un tempo. La domanda che il convegno ha iniziato a porsi è questa: la relativa dimenticanza non dipende forse dal fatto che non si possiede più la passione di interpretare il mondo per potergli poi parlare? Significativo il fatto che le frange estreme che rifiutano il Concilio – vedi gli integristi lefeburiani – sono segnati soprattutto dal rifiuto dell’interpretazione. La fede, per loro, è un deposito intoccabile. Non lo si deve interpretare: è solo da prendere e trasmettere, tal quale.

Non è un caso che il convegno abbia cominciato da qui. In mezzo alle paure per l’interpretazione del mondo, si cerca, in piccolo di fare quella cosa che desta tante preoccupazioni: interpretare, capire, leggere…