Oratori pieni, chiese vuote

Foto: chiesa parrocchiale di Longuelo, particolare

Il crollo delle presenze alle messe della domenica

Ho un amico di uno storico ordine religioso che qualche anno fa è arrivato a Bergamo dal Veneto. Mi ha raccontato che i primi tempi era sbalordito dalla quantità di persone che affollavano le nostre chiese. Lo stesso amico mi dice di quanto invece abbia visto drasticamente diminuire, nel corso degli ultimi cinque anni, le persone che partecipano alla liturgia domenicale. Non un calo ma un crollo.

Un crollo cosi vistoso che il polverone alzato impedisce di vedere fino in fondo gli effetti. Che bene ha descritto una teologa siciliana, Cettina Militello:

Noi seguitiamo a vivere la nostra vita come se i valori di riferimento fossero gli stessi della societas christiana delle generazioni passate. Seguitiamo ad autocelebrarci, a fare delle nostre liturgie spettacoli. Seguitiamo a crogiolarci in bagni di folla che, pur cospicui, sono statisticamente irrilevanti.

Seguitiamo a pensare a improbabili mutazioni di tendenza solo perché da qualche parte c’è un lievissimo incremento delle vocazioni al ministero o alla vita consacrata. Seguitiamo a pensarci in termini di ambienti rassicuranti quali parrocchie, associazioni, movimenti, magari investendo su questi ultimi, vista la loro carica d’efficienza presenzialista.

Siamo paghi delle nostre chiese in apparenza, della nostra brava gente il cui livello d’informazione religiosa non oltrepassa l’asilo infantile. Non ci rendiamo conto che rischiamo di restare fuori dal corso della storia.

Siamo minoranza

Un cambiamento radicale che esige un cammino di conversione che obbliga la Chiesa che è in Italia (e dunque anche la Chiesa che è nella presunta cattolicissima terra bergamasca) a fare i conti con una situazione continuamente vagheggiata e ripetuta ma di cui non siamo ancora pienamente consapevoli: l’essere diventati “minoranza”.

Dopo secoli in cui la fede cristiana era professata e vissuta dalla gran parte della popolazione delle nostre comunità, ci si è accorti che la nostra realtà è “plurale”. Sono cresciuti in maniera esponenziale gli “indifferenti”. Non solo ma si sono affacciati nei nostri territori i “differenti”, uomini e donne che credono in un Dio diverso dal Dio di Gesù Cristo.

Insomma, oggi i cristiani – in Italia in generale e a Bergamo in particolare – sono una “parte”, neanche la più consistente, del “tutto”. Rendersene conto veramente (e muoversi pastoralmente di conseguenza) è un’operazione che costa molta fatica.

L’illusione di una Chiesa socialmente forte

Certo, i segnali possono trarre in inganno: i battezzati sono ancora la maggioranza così come (almeno nei paesi) i funerali religiosi, la raccolta dell’otto per mille va a gonfie vele (poco più di un miliardo di euro nel 2016), migliaia di giovani (che non si ritrovano nelle eucarestie domenicali) animano con passione i CRE estivi nei nostri oratori e mai come in questi anni, la Chiesa – grazie anche all’effetto Francesco –  è riconosciuta e stimata.

Eppure il grande credito civile della Chiesa cattolica italiana nasconde la strutturale situazione di debolezza nella quale si trova oggi l’annuncio cristiano. Si coltiva l’illusione di poter “contare” ancora in maniera significativa nella società mentre tutti gli indicatori dimostrano una progressiva perdita della plausibilità della proposta cristiana in ordine alle grandi questioni di senso dell’uomo contemporaneo.

La religiosità degli italiani è in crisi

Nel corso degli ultimissimi anni sono stati pubblicati i risultati di alcune ricerche socio-religiose su segmenti della popolazione italiana, a volte generici e a volte specifici, con il fine di saggiarne la dimensione religiosa. Tutte le ricerche evidenziano lo stato di crisi della religiosità degli italiani.

Come a dire che a fronte di un riconoscimento pubblico della funzione sociale della chiesa cattolica stanno venendo meno le ragioni della speranza dei credenti.

Quando anni chiesero al cardinal Martini se “Non ci troviamo di fronte allo smarrimento del senso peculiare della vita cristiana come esperienza di Dio, incontro personale con Cristo?” rispose così:

Sono d’accordo con lei sulle cause perenni dello smarrimento. Direi meglio, della perdita del punto focale del mistero cristiano. Il mistero cristiano rimane come sfondo generico dell’agire di coloro che credono, ma il prevalere della dimensione attivistica, la coincidenza tra efficacia e visibilità e la concentrazione sull’aspetto spaziale più che sulla dimensione temporale producono uno sfocamento nell’espressione del mistero cristiano.

La sua estrema semplicità, la sua straordinaria incisività, la sua capacità rivoluzionaria, vengono pericolosamente ridotte. Interviene allora un mare di parole e di iniziative per cercare di ricuperare questa carica che invece è qualcosa di estremamente semplice. È la piccolezza e l’insignificanza di Gesù che, una volta accettata come manifestazione del Dio vivente, scuote e rinnova tutte le nostre categorie.”