Alessandro Manciana, medico volontario con il Celim a El Alto, Bolivia: «Dovevo restare per un anno, ne sono passati 11»

Una gota en salud: 11 anni di esperienza missionaria tra le comunità di El Alto, Bolivia. “Sono partito undici anni fa, quando da poco avevo finito la specialità in chirurgia pediatrica, perché cercavo una medicina diversa, più vicina alle persone, nella quale convivessero tanto una dimensione clinica, quanto l’aspetto umano e quello spirituale” – questa è stata la motivazione a partire di Alessandro Manciana.

Alessandro, originario della Diocesi di Brescia, dopo un’esperienza di volontariato in Perù con la Diocesi di Gubbio nel 2004, nel 2006 sceglie di ri-partire per una nuova missione, sempre gestita dalla Diocesi di Gubbio, in Bolivia, come figura sanitaria a servizio dei consultori dell’area rurale di El Alto.

“L’idea iniziale era quella di rimanere in Bolivia per un anno, e invece ne sono passati undici” – commenta Alessandro, che continua – “Quando sono arrivato ho scelto di vivere come missionario, nella casa parrocchiale, a servizio delle necessità sanitarie delle comunità della zona. Non c’erano ospedali, soltanto consultori tra i quali mi spostavo. Per un anno, inoltre, ho anche collaborato con un ospedale gestito dalla missione Mato Grosso, fino a quando nel 2014 è stato realizzato il progetto Una gota en salud”.

Una gota en salud, progetto del quale Alessandro è stato responsabile dal 2014, anno di fondazione, fino a maggio 2017, quando, insieme alla sua famiglia, ha scelto di tornare in Italia, nasce dalla volontà e dalla collaborazione tra la Diocesi di La Paz e dal suo vescovo, Monsignor Eugenio Scarpellini, il Centro Missionario Diocesano di Bergamo e Brescia e il CELIM.  Si tratta di un progetto creato per rispondere alle necessità sanitarie delle missioni, dieci, che costellano l’altopiano di El Alto, fornendo prestazioni sanitarie, attraverso un’équipe sanitaria mobile.

“Il servizio che offrivamo e che tuttora il progetto continua ad offrire consiste in una clinica mobile che una volta al mese o ogni due mesi raggiunge dieci comunità dell’altopiano, fermandosi un paio di giorni, per rispondere alle esigenze sanitarie della comunità. Non è stato facile all’inizio farsi accogliere, perché si trattava di un fatto nuovo, ma con il tempo, grazie alla mediazione linguistica di un’infermiera locale che collaborava con noi tanto come figura sanitaria quanto come traduttrice, siamo riusciti a costruire una reciprocità all’interno della quale la comunità ci accoglieva con cibo e un posto per la notte e noi, in cambio, offrivamo a ciascuna delle missioni quello di cui necessitava in tema sanitario, da formazione al personale locale su come usare un ecografo a sessioni di medicina naturale”.

Il progetto, nato con Alessandro, affiancato da Marta Guerini, bergamasca, tecnico di radiologia, da un’assistente sociale e un’infermiera locali, è ora guidato da un medico spagnolo e continuerà fino alla fine del 2017, in attesa di trovare nuove risorse per il prossimo anno.

“Per motivi famigliari abbiamo scelto di tornare in Italia, ma con la voglia e la disponibilità di partire, per continuare a fare solo quello che riusciamo a fare meglio all’interno di una comunità”.

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