Bergamo invisibile. La storia di Umberto il pellegrino: «La preghiera più del cammino ti allarga gli orizzonti»

Uno zaino militare, un bastone da pastore, capelli rasta che assomigliano al pelo di un pastore bergamasco e un’andatura lenta che nasconde molte storie destinate a chi ha la pazienza di ascoltare.

Umberto ogni anno passa al Punto Sosta della Caritas a salutarci ed è un’incontro sempre ricco di sorprese. Nel suo  modo gentile di parlare svela sempre qualche pensiero o immagine che ti rimane nella  mente e diventa oggetto di riflessione tra noi operatori.

Chi lo vedesse per la prima volta potrebbe confonderlo con uno dei tanti homeless che si possono incontrare in stazione ma, come spesso succede, a volte l’apparenza inganna…

Umberto si definisce un pellegrino, un viandante e non un vagabondo.

Da circa quattro anni e mezzo gira l’Italia chiedendo ospitalità presso parrocchie, conventi, case della carità. Altre volte i suoi alloggi diventano porticati, panchine, tettoie, stalle e pollai. Mangia ciò che gli viene offerto dalla gente che incontra a cui chiede “un pane di carità” o si accontenta di wurstel e patatine che reperisce in qualche discount sulla strada  con i pochi soldi disponibili.

Ho avuto l’occasione di conoscerlo meglio invitandolo per un fine settimana presso una casetta che  io e la mia compagna abbiamo in montagna e lui ha accettato volentieri di raggiungermi. Gli ho spiegato il percorso scrivendo su un pezzo di carta le indicazioni di riferimento, essendo la casa isolata  e difficile da trovare. Gli ho lasciato il mio numero di cellulare in caso di difficoltà ma lui ha sorriso dicendo di non averne uno ma di stare tranquillo che sarebbe arrivato. Il suo unico calcolo era legato ai giorni che avrebbe impiegato per arrivare da me. Sabato mattina alle ore 8.30 si presenta puntuale fuori casa.

Umberto ama chiacchierare ma non vuole sentirsi ospite ed è disponibile a fare qualsiasi lavoretto per rendersi utile. Decidiamo di tinteggiare una staccionata e si dà il via ai racconti.

Umberto descrive la sua vita e i suoi diversi incontri. Spesso descrive personaggi, definiti da lui stesso un po’ strani, che lo hanno accolto bene magari dopo un’iniziale diffidenza. Ci sono preti, suore, frati e gente normale che si sono resi disponibili a offrirgli da mangiare gratuitamente oppure  a prestargli qualche piccolo servizio come  ricucirgli lo zaino logoro o un paio di scarpe usate  n°46 difficili da reperire.

Il suo ottimismo verso la gente destabilizza come anche il suo procedere senza programmi precisi misurando solo le sue forze disponibili. Racconta ancora con sorpresa che quando si aggirava nelle zone terremotate dell’Umbria e chiedeva indicazioni per raggiungere qualche parrocchia o monastero  la gente stessa provvedeva a trovargli vitto e alloggio.

La mia curiosità mi ha spinto a chiedere della sua vita prima di intraprendere questo percorso. Umberto ha infatti 51 anni. Mi racconta partendo dalla sua adolescenza con il mito di Bob Marley e dei tanti “cannoni” che giravano tra i ragazzi. Mi racconta di due anni di lavoro in fabbrica e del senso di alienazione che si respirava. “Si lavorava – mi dice – tutta la settimana per poi sballare o ritrovarsi in qualche Pub il sabato e la domenica ed avere i soldi per comprarsi prima o poi la macchina”.

Umberto ha deciso che questa vita non faceva per lui. Ha iniziato ha cercare un lavoro che gli desse soddisfazione. ”Diventerò un allevatore di capre” ha detto con fermezza. Pur non avendo alcuna esperienza e non avendo nemmeno il sostegno dalla famiglia si è trasferito in Toscana e si è messo  a disposizione nella gestione di stalle. Ha trovato all’inizio lavoretti per brevi periodi e infine un vero lavoro per nove anni consecutivi presso un allevatore.

Nel racconto ricco di tante sfumature riemerge spesso il tema  della libertà di dover decidere come gestire la propria vita e di non lasciare che altri decidessero per lui come ad esempio l’idea, adesso che aveva raggiunto un lavoro stabile, di doversi a forza  sistemare, sposarsi e magari  fare qualche figlio. Quando entra nei paesi e passa accanto a qualche bar sulla strada a volte sente qualche commento che sottovoce lo  addita per “barbone”. Lui cammina oltre e il suo pensiero va alle tante “vite cosiddette normali”, che appaiono alla fine vuote. Lui comunque nella sua vita ha cercato di fare sempre ciò che gli piaceva e non prova alcuna gelosia per vite diverse, nemmeno per chi è ricco.

Ma per essere “pellegrino” non manca ancora  qualcosa?

Ho lasciato questo tema per ultimo perché tocca a mio avviso le corde della sua identità più profonda. Umberto nel suo cammino prega e legge molto cercando di rispettare i tempi canonici di Lodi, Ora Media, Vespri e Compieta e quando non riesce cerca di accorpare più preghiere alla sera servendosi per leggere di una piccola torcia che qualche persona sul suo cammino gli ha regalato. La preghiera, sottolinea, è una sua scelta e se qualcuno gli avesse imposto l’obbligo di pregare non sarebbe più stata la stessa cosa. Tra i testi letti mi ricorda oltre ai Vangeli, il Pellegrino Russo nelle sue quattro edizioni e la Filocalia da cui trae alcuni insegnamenti.

Gli ho chiesto da dove è nato lo spunto per la preghiera e se la preghiera è iniziata nello stesso tempo del suo girovagare. Mi risponde che all’inizio camminava e basta, solo successivamente, dopo l’invito di qualche parroco incontrato ha iniziato a pregare. La sua famiglia è praticamente atea mentre la sua nonna materna, con la quale ha convissuto quando era piccolo era religiosissima. La preghiera, ha detto, lo fa star bene e per questo motivo ha continuato. ”La preghiera, mi dice, più del cammino ti allarga gli orizzonti”. Rimango in silenzio.

Umberto parla nei suoi racconti  di una società rurale che non c’è più dalla quale vuole conservare lo spirito ma che lo porta inevitabilmente ad essere  emarginato in una società diversa, sicuramente più tecnologica, ma forse più povera.

Il nostro incontro si conclude dopo due giorni consapevole di essere stato fortunato ad incontrarlo.

Lo riaccompagno al rondò delle valli da dove riprenderà il cammino verso Clusone.

Sul muro esterno della nostra casa in montagna io e la mia compagna Monica abbiamo scritto:

“In questa casa si dà asilo ai sognatori incalliti,

a viaggiatori stanchi,

a chi a scelto di perdersi e non è più tornato,

a chi è naufrago nel mare della vita,

agli artisti di ogni arte.

Entra e raccontaci la tua storia.”

Umberto è stato a pieno titolo un ospite eccellente.

Buon viaggio!