Primo giorno di scuola. Il diario di una giovane insegnante: pronti per iniziare un viaggio, e quel “folle volo” verso la vita

Quest’anno per la maestra c’è una classe nuova e un cambio di creature e vocali, e sarà una festa anche per i banchi che aspettano i bambini come rami antichi che attendono nuove farfalle.
(Fabrizio Caramagna)

Ormai mancano pochissimi giorni e poi suonerà la campanella. La prima, che alle otto di mattina di un giorno di metà settembre, inaugurerà il nuovo anno scolastico: la routine cambierà, cadenzata da spiegazioni, compiti in classe, interrogazioni, ma anche risate, emozioni, soddisfazioni, e poi tensioni, nervosismi, fatiche…Una rampa di scale, pochi passi, i saluti ai colleghi, in bocca il sapore del caffè. Sono emozionata come se fosse il mio primo giorno di scuola, e un po’ lo è. Realizzo che, anche se ho all’attivo tre lauree e insegno da tre anni (non che siano molti, ma un piccolo bagaglio di esperienze inizio a costruirlo), nel momento esatto in cui varcherò la soglia delle aule, tutte simili eppure tutte diverse, il cuore mi martellerà nel petto. Sono un’ansiosa cronica e questo è un dato di fatto. Ma c’è dell’altro: un centinaio di giovanissimi saranno lì a guardarmi, anzi, a scrutarmi (in un secondo hanno memorizzato perfettamente l’esatta sfumatura dei miei capelli biondi e se oggi pomeriggio andrò dal parrucchiere posso essere certa che domani qualcuno me lo farà notare subito) e io penso che si aspetteranno molto da me, dovrò far loro da guida, non solo inculcare semplici nozioni, ma anche e soprattutto essere un punto di riferimento, aiutarli a maturare, a migliorarsi, ad affrontare le difficoltà e le sfide che incontreranno… Tutto ciò mentre cercherò di placare il baccano che staranno già facendo, eccitatissimi per il nuovo inizio, con i loro zaini pieni di aspettative e sogni, dubbi e fragilità. Mi chiederò come farò ad affrontare ogni argomento in programma quando il tempo è tiranno e la mole immensa, le valutazioni richieste sono rigorosamente quelle e io non desidero passare il tempo a valutarli, voglio parlare con loro, conoscerli. Dovrò fare scelte, capire chi ho davanti, quanto sono veloci nell’apprendimento. Ecco, poi vorrei coltivare un rapporto umano più sano e proficuo possibile. Alcuni li conosco già: una ragazza l’anno scorso è andata male, per la testa aveva solo tagli di capelli, smalti per le unghie e quel ragazzo di quinta col ciuffo biondo. Quest’anno vorrei aiutarla a tirare fuori il meglio di sé, farle considerare l’italiano e la storia con occhi diversi, cercare di appassionarla. Altrimenti mollerà. E poi c’è quel ragazzo in ultima fila, la sua situazione familiare è disastrosa. È fragile e potrei ferirlo con una sola parola sbagliata. Devo stare attentissima, maneggiare con cura. Non lasciare indietro nessuno è una missione, un mantra che mi accompagnerà fino a giugno. Nessuno ha detto che sia facile, sono tutti così meravigliosamente diversi, e poi diciamocelo, che brutta bestia l’omologazione. Mentre penso a cosa dire dopo aver rotto il ghiaccio con le presentazioni mi accorgo che snocciolo delle raccomandazioni e dalla bocca mi esce, quasi da sola, la parola ‘impegno’. Dovranno impegnarsi, siamo alle superiori ormai. Ma dentro di me so che io per prima dovrò farlo: studiare e aggiornarmi continuamente, trovare nuove vie per coinvolgere i ragazzi in un’esperienza di apprendimento appagante ed efficace, cercando di non annoiarli e di tirare fuori il meglio da ciascuno di loro. Dovrò essere di certo competente, ma anche lucida, affidabile, equilibrata ed equa. Ma soprattutto dovrò essere appassionata. Posso chiedere loro sforzi, impegno, attenzione, partecipazione, silenzio (quest’ultimo è un’utopia!), ma se non trasmetterò passione non sarò credibile. E i ragazzi hanno tanto bisogno di credere in noi adulti. Di fidarsi e di affidarsi. Desidero dimostrare loro che vale la pena stare qui per un anno intero ad ascoltarmi. Anche se starò spiegando il complemento oggetto, che sicuramente loro si staranno chiedendo a cosa serva nella vita. Ma se mi brilleranno gli occhi quando parlerò dell’Odissea, saremo pronti, Ulisse, i miei studenti ed io, a farlo tutti insieme questo “folle volo” verso la vita.