Giovani & lavoro: quando un mese di stage sottopagato diventa il premio di un concorso

L’ultima frontiera del lavoro che non onora l’articolo 4 della Costituzione l’ha varcata Carpisa, noto marchio italiano di pelletteria, e si può riassumere con una frase: “se vuoi provare a vincere un lavoretto sottopagato di un mese, compra una borsa e prova a giocare”.
Sembra una battuta triste e invece è la realtà. Nei giorni scorsi si è discusso parecchio infatti della campagna, promossa dal brand e subito sommersa di polemiche, che prevede una sorta di concorso: basta comprare una borsa della nuova collezione autunno-inverno 2017/2018, conservare il codice gioco sullo scontrino e con esso passare alla fase successiva, e cioè elaborare un piano di comunicazione da sottoporre all’azienda. Il premio in palio? Niente di meno che un mese di stage presso l’ufficio comunicazione della società promotrice, a Nola, e un rimborso spese di 500 euro.
Se non fosse che questa vicenda è la cartina al tornasole di un Paese nel quale il lavoro è diventato più un privilegio che un diritto, ci sarebbe quasi da ridere. Per la disperazione. Da qualunque lato si provi a guardare la vicenda, i contorni sono infatti grotteschi: sia nella superficialità con cui si mette un mese di stage sottopagato in palio come se fosse il premio di una tombola natalizia, sia nella richiesta di elaborare un piano di comunicazione per poter partecipare a questo strampalato e offensivo “contest”…. Stesura che, se affidata come dovrebbe ad agenzie specializzate sarebbe pagata fior di euro. Viene quindi da chiedere se questa surreale trovata non sia semplicemente un molto molto furbo per ottenere idee, spunti, progetti da poter poi riutilizzare… A costo zero. O meglio, a 500 euro: un niente, per un’azienda in franchising che vanta centinaia di negozi su tutto il territorio italiano.
Un niente anche per il “vincitore”, a ben guardare: perché uno stage, full time, a 500 euro significa all’incirca 2 euro e mezzo all’ora. Sono abbastanza naturali poi l’indignazione, la rabbia, la frustrazione di chi in questi giorni ha inondato Carpisa di polemiche, visto che in linea di massima c’è tutta un’opinione comune pronta a gridare alla schiavitù (giustamente!) quando si parla di lavoratori agricoli sfruttati a 3 euro l’ora, ma la stessa opinione pubblica tace quando la stessa cifra è gettata in faccia quotidianamente a ragazzi e ragazze (ma anche a meno giovani) in una delle innumerevoli forme di sfruttamento in cui si declina legalmente il lavoro oggigiorno: stage, alternanza scuola-lavoro, collaborazione occasionale, partite Iva che mascherano lavori da dipendenti, e chi più ne ha più ne metta. L’iniziativa di Carpisa ha segnato una nuova tacca: quella di chi deve comprare (una borsa, in questo caso) per provare a lavorare praticamente a gratis e per un mese.
Carpisa poi si è scusata per la superficialità con cui ha trattato un tema delicato come quello del lavoro. Ma il problema non è Carpisa di per sé: è il fatto che una azienda si sia sentita perfettamente legittimata a proporre una cosa del genere, in questo periodo, lucrando malamente e consapevolmente sulla disperazione di una fetta sempre più grande della popolazione.
Basta fare un giro rapido su un qualunque portale di annunci per rendersi conto di quanto la situazione sia drammatica: le offerte di lavoro sono tante, ma si può davvero chiamare “lavoro” uno stage con rimborso spese e buoni pasto? Si può davvero chiamare “lavoro” il momentaneo tirare il fiato di chi accetta certi compromessi, con la piena consapevolezza che a fine stage si verrà sostituiti da un altro stagista o ci si vedrà rinnovare il contratto di stage sottopagato? Si può davvero chiamare “lavoro” quello che non ti dà né futuro né prospettive, e negandotele cerca pure di convincerti che sei tu il problema, che sei tu un “bamboccione choosy”, giusto per usare le parole di due persone che su queste materie erano chiamate a legiferare, ed hanno legiferato perché questi sistemi fossero legali? Dov’è, in tutto questo, la “dignità nel lavoro” promossa dalla nostra Costituzione e richiamata più volte anche nelle parole di Papa Francesco?