Molte fedi, applausi per Lella Costa. Don Milani “una voce scomoda, impertinente e necessaria”

Tra i numerosi eventi che costellano il programma della X edizione di Molte Fedi, un appuntamento imperdibile e che ha registrato il tutto esaurito, è stata la lettura di “Lettera ai Giudici” di don Lorenzo Milani, da parte della madrina della manifestazione, Lella Costa.

La lettura del testo è stata introdotta da Daniele Rocchetti, presidente della Acli provinciali di Bergamo, che ha motivato la scelta di leggere “un uomo che ha parlato tanto da vivo e altrettanto da morto” per la sua impertinenza e scomodità. Padre Turoldo di don Milani ha scritto che era “voce della coscienza che ti denuda”, una voce necessaria tanto in passato quanto nel nostro tempo per scuotere le coscienze a scegliere il bene e distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è.

Parole appassionatamente scritte quelle di don Milani, parole di un uomo consapevole del proprio tempo, ma che ancora oggi suonano attuali e provocatorie, parole che interrogano l’anima su cosa sia bene e cosa male, su cosa sia giusto e ingiusto, parole che non lasciano indifferenti e che offrono numerosi spunti di riflessioni.

Sono parole di un precursore, di un profeta, scritte il 18 ottobre 1965, quando, impossibilitato a presenziare al processo, volle difendersi di fronte ai giudici dall’accusa di apologia di reato che gli era stata mossa contro. Don Lorenzo si presenta “in duplice veste di maestro e sacerdote” di fronte a quanti lo accusano, tessendo una straordinaria difesa della reciprocità dei due ruoli, necessari per educare tanto il cittadino quanto il cristiano a reagire all’ingiustizia e “sentirsi responsabile di tutto”. “I care”, questo il motto e il moto dell’anima che promuove di contro allo sterile menefreghismo.

Accusare don Milani di essere un cattivo maestro significa togliere la libertà di parola a coloro che da sempre si impegnano e lottano per costruire una società cosciente. Puntare il dito contro quanti arringano alle coscienze perché queste siano libere di pensare e scegliere “di violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva” significa invitare alla cieca obbedienza e all’incapacità di distinguere il bene dal male. Definire l’obiezione di coscienza “espressione di viltà” significa relegare al ruolo di passivi attori della storia coloro che sono capaci di reagire di fronte a secoli di storia sbagliata e inumana, durante la quale mai guerra giusta è stata combattuta. Don Milani esorta i suoi giovani e con loro tutti i successivi lettori a fare propria la Costituzione italiana e a ripugnare la guerra, da buoni cittadini e da buoni cristiani.

L’Art.11 è una conquista morale sociale che ricorda che ogni guerra è ingiusta, perché non ci sono guerre di difesa, ma soltanto guerre di “offesa alla libertà degli altri popoli”. Non solo come cittadino, ma anche come cristiano un individuo rifiuta la violenza, perché questa “non è ancora la dottrina ufficiale della Chiesa”. Condannare lo stimolo al pensiero critico e alla libertà di scelta cui chiama don Lorenzo significa “dire ai giovani italiani che essi non devono avere una coscienza, che devono obbedire come automi”.

Come sacerdote e come maestro, il parroco di Barbiana si sente responsabile della demistificazione di una Patria che obbliga alla guerra, di una Patria che altro non è che creatura di Dio e, pertanto, idolo degli uomini. Come maestro sacerdote e come maestro, don Lorenzo Milani combatte perché non soltanto la specie umani, a rischio di estinzione, si salvi, ma anche e almeno la sua anima, guidata dalla legge “perché c’è una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell’umanità la chiama legge di Dio, l’altra parte la chiama legge della Coscienza”.