Lotta agli abusi sui minori sul web al cyberbullismo, summit a Roma: “Serve un’azione comune di governi e aziende»

Il fenomeno viaggia subdolo su Internet. Prende nomi diversi: sextortion, sexting, cyberbullying, grooming. Le vittime sono tante e sono soprattutto bambini e adolescenti. D’altronde un quarto dei più di 3,2 miliardi di utenti di internet nel mondo sono minori. Si calcola che più di 800 milioni di giovani è esposta al rischio di divenire vittima di adescamento sessuale su Internet. Per questo, il Centre for Child Protection (istituito presso la Pontificia Università Gregoriana) ha deciso di convocare a Roma tutti gli “attori” che in qualche modo sono coinvolti nel problema. Rappresentanti di governi, dirigenti di aziende soprattutto quelle legate al mondo di Internet, polizie, ong, organizzazioni internazionali come l’Unicef e poi il mondo dei media e delle religioni, cristiani, ebrei e musulmani. Hanno risposto all’invito anche i massimi esperti del mondo digitale. Si ritroveranno dal 3 al 6 ottobre per partecipare al primo congresso globale di questo genere che avrà per titolo “Child Dignity in the Digital World” (La dignità del minore nel mondo digitale). “Obiettivo dell’incontro – spiega al Sir padre Hans Zollner, presidente del Centro protezione dei minori dell’Università Gregoriana – è creare una piattaforma di discussione e di condivisione e soprattutto lanciare una serie di azioni nella lotta all’abuso sessuale di minori on line e per la protezione dei minori nel mondo digitale”.

Quali sono, padre Zollner, i dati del fenomeno che più preoccupano?

L’abuso sessuale sui minori esiste in tutte le società, culture e paesi del mondo. E’ un male molto più diffuso di quanto si pensi. L’Unione Europea ha lanciato qualche anno fa una iniziativa dal titolo, “Uno su cinque”. Significa che un ragazzo o una ragazza su cinque, e cioè il 20% di tutti i ragazzi in Europa, è abusato e abusata sessualmente. Sono cifre orrende. In questo contesto, Internet – che è uno strumento di comunicazione meraviglioso – può diventare molto pericoloso aggiungendo pericolo al pericolo. Si pensi per esempio al fenomeno del “sexting” in cui cadono soprattutto le ragazze. Vengono obbligate dai loro compagni a inviare immagini di loro stesse nude, ma una volta spedita l’immagine rimane nel web per sempre e viene continuamente rilanciata in un sistema che sfugge totalmente al controllo. C’è poi il fenomeno di violenza sessuale su bambini anche molto piccoli che viene ripreso “live” in un paese del mondo e visto in diretta e a pagamento da qualsiasi punto della terra.

Sta parlando della piattaforma Periscope?

E’ un fenomeno che viaggia anche molto semplicemente su Skype. Quello che mi stupisce è che in tanti parlano di queste realtà, ma non vedo un’azione focalizzata e decisa da governi e aziende per contrastarla. C’è qualcosa ma è sempre una goccia in un oceano troppo grande. Per questo, abbiamo deciso di organizzare questa Conferenza, per mettere attorno allo stesso tavolo tutti i responsabili e capire come fare ciascuno e tutti insieme la propria parte.

Di fronte ad un fenomeno così globale e subdolo, quali azioni di contrasto possono essere promosse?

Sarà per esempio molto importante il lavoro dell’educazione. I ragazzi ormai sono in grado di bypassare quei programmi nati per impedire l’accesso ad alcune pagine. Per questa ragione sarà sempre più fondamentale educare i ragazzi a un uso responsabile della rete. C’è poi tutto il mondo dei social media che va dalle chat di Snapchat alle pagine di Facebook in cui i giovani stringono contatti, danno amicizia anche a persone che non conoscono e rischiano di cadere in bruttissimi giri. Le aziende devono pertanto dichiarare ciò che vogliono e possono fare per evitare per quanto possibile il “grooming”, cioè l’adescamento di minori tramite Internet per fini di abuso. In questo senso chiediamo ai governi di contattare le aziende, porle di fronte alle loro responsabilità e poi – attraverso una legislazione adeguata – arrivare ad un accordo per impedire agli abusatori di cercare sul web le proprie vittime.

Un mondo, quello degli abusatori, che vede purtroppo la presenza anche di sacerdoti e religiosi. Gli scandali purtroppo non cessano.

Il nostro scopo è dare un chiaro segno che innanzitutto la Chiesa si prende la sua responsabilità, e che vogliamo e dobbiamo lavorare con le forze dell’ordine. Non siamo una realtà a parte e dobbiamo non solo riconoscere le leggi, ma collaborare attivamente con lo Stato. Ovviamente quando una persona commette abuso su un minore, anche tramite l’utilizzo di immagini pedopornografiche, compie un atto grave. Ma è ancora più grave se a compiere l’abuso è un sacerdote o un religioso. Per questo il Papa, quando giovedì scorso  ci ha ricevuto in udienza come Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, ha ribadito la linea della tolleranza zero verso ogni forma di abuso nella Chiesa. Non c’è dunque il minimo dubbio sulla linea intrapresa dalla Santa Sede e dalle Conferenze Episcopali in tutto il mondo. Linea però che non risolverà il problema: ci saranno sempre persone che continueranno a fare del male e a commettere questi crimini. Per questo il nostro impegno sarà quello di continuare con perseveranza e determinazione a fare tutto il possibile per fermare questo male e offrire questa piattaforma di discussione e azione a tutte le parti coinvolte.

Parlando sempre ai membri della Pontificia Commissione, il Papa ha anche detto che la Chiesa ha affrontato questi crimini con un certo ritardo e la stessa Marie Collins qualche mese fa denunciò una certa pigrizia nell’agire. Purtroppo si è agito troppo tardi e spesso troppo poco. Lei come risponde a queste critiche?

Molte persone lavorano in questa direzione e laddove la Chiesa ha preso questo impegno sul serio – come negli Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Irlanda, Germania, Austria e Australia – il lavoro di prevenzione funziona. Non c’è dubbio su questo. Spesso manca il coraggio. Nei viaggi che ho fatto in circa 50 paesi di tutti i continenti, vedo che manca anche la conoscenza del fenomeno e la presa di consapevolezza. D’altra parte, noi in Italia e in Europa abbiamo cominciato a prendere sul serio questo fenomeno appena 8 anni fa. Era un tema che rimaneva sotto il tappeto e di cui nessuno voleva parlare. Si tratta di un tema scomodo, doloroso, difficile da affrontare e la volontà di farlo spesso manca: non solo nella chiesa, ma anche nella società, altrimenti non mi spiego perché l’Unione Europa dica in una campagna che uno su cinque dei nostri ragazzi è stato abusato sessualmente e nessuno prenda nota di questo. E’ un fenomeno troppo orrendo di cui parlare? Certo, ma proprio per questo dobbiamo farlo.