San Francesco secondo Caravaggio: estasi e preghiera in tre capolavori in mostra a Palazzo Reale

«San Francesco in estasi», dipinto a olio su tela di Michelangelo Merisi da Caravaggio realizzato dal pittore bergamasco attorno al 1598 e conservato presso il Wadsworth Atheneum di Hartford nel Connecticut (USA) è uno dei venti capolavori dell’attesissima mostra «Dentro Caravaggio» che si sta svolgendo al Palazzo Reale di Milano.
Venti opere, riunite per la prima volta insieme, provenienti da alcuni dei musei più prestigiosi del mondo: dagli Uffizi di Firenze al Met di New York, dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma di Palazzo Barberini al Museu de Montserrat di Barcellona passando dalla National Gallery al Museo e Real Bosco di Capodimonte e Gallerie d’Italia Palazzo Zevallos a Napoli.
Un’esposizione unica, perché per la prima volta le tele di Caravaggio sono accompagnate con innovativi apparati multimediali dalle rispettive immagini radiografiche, che consentono al pubblico di seguire e scoprire, attraverso, il percorso dell’artista dal suo pensiero iniziale fino alla realizzazione finale dell’opera.
«Siamo entrati dentro il processo creativo del pittore», ha dichiarato Rossella Vodret, curatrice della mostra la quale è stata coadiuvata da un prestigioso comitato scientifico presieduto da Keith Christiansen. Infatti “Dentro Caravaggio” vuole raccontare da una prospettiva nuova gli anni della straordinaria produzione artistica dell’artista, attraverso due chiavi di lettura: le indagini diagnostiche e le nuove ricerche documentarie che hanno portato a una rivisitazione della cronologia delle opere giovanili, grazie sia alle nuove date emerse dai documenti, sia ai risultati delle analisi scientifiche.
Sono presenti anche alcuni selezionati documenti, provenienti dall’Archivio di Stato di Roma e di Siena, che si riferiscono alla vicenda umana e artistica di Caravaggio, e hanno cambiato profondamente la cronologia dei primi anni romani, creando misteriosi vuoti nella sua attività.
La mostra, è posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e MondoMostreSkira, in collaborazione con il MIBACT Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Partner per le indagini diagnostiche Gruppo Bracco.
“Ciò che inizia con l’opera di Caravaggio è molto semplicemente la pittura moderna”, ha scritto lo storico dell’arte francese André Berne-Joffroy uno dei grandi protagonisti della riscoperta di Caravaggio nel secolo scorso. Michelangelo Merisi, noto come il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610) è stato da sempre definito un “pittore maledetto”, dall’esistenza tanto breve, burrascosa quanto intensa, quasi leggendaria. «Caravaggio ha finito per incarnare, meglio di altri, anche per la sua vicenda biografica, uno stereotipo che è distante dalla realtà storica. Lo stereotipo al quale alludo è quello del genio associato con il tema della sregolatezza. Il genio moderno è sempre colui che è contro la tradizione precedente, contro il pensiero dominante nella vita e in quello che produce» spiega Michele Di Monte, curatore presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini e presso la Galleria Corsini.
“San Francesco in estasi”, rappresenta il primo dipinto di soggetto sacro eseguito da Merisi. Domandiamo chi commissionò l’opera al Caravaggio a Di Monte, che ci spiega: «Il cardinale Francesco Maria del Monte devoto di san Francesco, tra il 1597 e il 1601. Caravaggio si trovava a Roma a Palazzo Madama e lavorava al servizio del cardinale, uno dei primi estimatori dell’artista quando Michelangelo non aveva ancora tanti estimatori. La scena del dipinto si riferisce al celebre episodio della vita di San Francesco avvenuto sul monte della Verna nell’estate del 1224, in cui il Santo ricevette le stimmate. Francesco confortato e sostenuto, anche materialmente dall’angelo che lo sorregge, diventa la figura del perfetto imitatore di Cristo, il quale come Cristo sperimenta una sorta di estasi che è anche passionale. Caravaggio in maniera esplicita ricalca il tema di San Francesco su quello dell’orazione di Cristo nell’orto nel Monte degli Ulivi. In questa tela dunque il Santo si confronta con l’angelo nell’imminenza della Passione. Caravaggio fa di Francesco il perfetto imitatore di Cristo, non solo nella meditazione ma anche nella meditazione della morte imminente che riguarda l’uomo in quanto tale».
Durante il percorso espositivo, il visitatore può ammirare anche due dipinti di soggetto sacro che ritraggono San Francesco in meditazione. Il primo, (post 1604 o 1606?), è in prestito dal Museo Civico di Cremona e proviene dalla collezione di monsignor Benedetto Ala, il cui stemma in oro zecchino compare sulla cornice originale. Qui Francesco, in ginocchio, guarda intensamente e con espressione dubbiosa verso il libro e il crocifisso a terra davanti a lui. Su un teschio poggia la copertina del libro che è tenuto aperto dalla croce. La scena è tratta da un episodio della vita di San Francesco, che si è ritirato, in digiuno, alla Verna, una voce dall’alto gli annuncia che, nell’aprire il libro della Bibbia, gli sarà rivelata la volontà divina. Aperta la Bibbia, Francesco trova per ben tre volte un rimando alla Passione di Cristo: rafforzato nel suo proposito, prega il Signore di poter continuare la sua imitazione di Cristo nell’esperienza del dolore della morte, finché non viene accontentato, con la visione del Serafino e la comparsa delle stimmate.
Il secondo quadro, datato 1606, ritrovato nel 1968 nella chiesa di San Pietro a Carpineto Romano (antico feudo Aldobrandini), arriva dalle Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Roma, Palazzo Barberini (in deposito da Carpineto Romano, chiesa di San Pietro, proprietà del FEC (Fondo Edifici di Culto). Caravaggio dipinge il quadro nell’estate del 1606 sui Colli Albani vicino a Roma nei feudi Colonna. Michele Di Monte precisa per quale motivo Michelangelo si trovava lì. «Il 28 maggio 1606 in Campo Marzio, una partita al gioco della pallacorda si concluse in rissa, durante la quale Caravaggio uccise Ranuccio Tomassoni. Michelangelo con una condanna in contumacia che implicava una condanna a morte, per sfuggire alla mano della giustizia era subito scappato da Roma e si era rifugiato nei feudi dei Colonna, a sud dell’Urbe. Feudi che confinavano con quelli degli Aldobrandini. È per questo motivo che a questa data viene ancorata la datazione del dipinto».
Il visitatore osserva San Francesco «Il Poverello è in meditazione, in preghiera, tra l’altro il Santo ha già le stimate sulle mani, quindi ha già attraversato l’esperienza della Verna, ed è concentrato sul teschio che tiene in mano, diretta metafora della meditazione sulla morte. Sulle ginocchia di Francesco c’è una semplice croce di legno che poggia su di una roccia. Un dipinto scarno, essenziale, deliberatamente ridotto a una dimensione minimale dove quello che deve emergere è l’attitudine del Santo, il quale in questo spazio buio, si concentra su stesso, non avendo nessun altro interesse per ciò che ha intorno. Gli elementi che attraggono la sua e la nostra attenzione di osservatori sono il teschio, la croce e la pietra» chiarisce Di Monte, al quale facciamo notare una macchia bianca sulla spalla destra di Francesco. Lo storico dell’arte spiega che «la macchia serve a sottolineare che il saio di San Francesco aveva bisogno di qualche rattoppo. Sappiamo che il Santo, in quanto santo esemplare della povertà, portava, come i suoi biografi ci raccontano, esclusivamente il saio, avendo rinunciato a ben altri indumenti più eleganti».
In tutti i dipinti di Caravaggio, fondamentale è la luce. «la luce di Merisi è una luce che rinuncia deliberatamente a quel genere di chiarore diffuso che era stato tradizionale appannaggio della pittura non solo italiana fino alla fine del Cinquecento, una luce che invade lo spazio della rappresentazione. Nel caso di Caravaggio questa illuminazione cambia radicalmente di natura, la luce diventa una luce che ha una fonte particolare, locale, circoscritta, che si proietta unicamente sulla struttura plastica e volumetrica degli oggetti, lasciando tutto il resto in ombra. Si dice che Caravaggio dipingesse i suoi modelli all’interno di una stanza dalle pareti nere per evitare l’effetto del riverbero e della diffusione, in modo che la luce potesse produrre delle ombre nette, definite e che quindi producesse dei contrasti illuministici assolutamente drammatici nella loro evidenza» conclude Di Monte, nato a Roma nel 1966.
Quattro anni di peregrinazioni dati dalla condanna a morte che incombeva come una minaccia sugli ultimi anni della sua vita tormentata portarono l’artista a Napoli, Malta, Siracusa, Messina e Palermo e di nuovo a Napoli. Da qui il pittore prese nuovamente il mare a bordo di una feluca che da Napoli era diretta a Porto Ercole. Giunto all’approdo di Palo (circa quaranta km da Roma) Caravaggio venne scambiato per un criminale e arrestato. Chiarito l’errore e liberato Michelangelo si incamminò verso Porto Ercole dove arrivò stremato e dove morì il 18 luglio 1610 all’età di 39 anni. La causa della sua morte non è mai stata accertata, sono state formulate diverse ipotesi ma nessuna certezza sulla sua reale fine.

Nella foto di apertura particolare del dipinto “San Francesco in estasi” di Caravaggio esposto in questi giorni a Palazzo Reale