La montagna di Paolo Cognetti: lungo i sentieri si incontrano generazioni diverse

“Noi diciamo che al centro del mondo c’è un monte altissimo, il Sumeru. Intorno al Sumeru ci sono otto montagne e otto mari. Questo è il mondo per noi. […] E diciamo: avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne, o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?”

E’ racchiusa nella cosmologia nepalese la domanda che dà il titolo a “Le otto montagne” (Einaudi, 2017), l’evocativo e intenso romanzo di Paolo Cognetti vincitore del premio Strega 2017. Romanzo di crescita e di formazione, di amicizia e di ricerca, “Le otto montagne” si legge a grandi bocconi. È magnetico, perché nella vicenda del giovane Pietro è possibile ritrovare un po’ di ciascuno di noi.

La storia ruota attorno a due assi principali: il rapporto di Pietro – cresciuto a Milano – con la sua famiglia e in particolare con suo padre, un uomo aspro ed enigmatico ma grande; e la sua amicizia con Bruno, suo coetaneo che abita in un paesino alle pendici del Monte Rosa e lavora come mandriano d’alpeggio fin da quando è piccolo.

Ad intrecciare i due assi portanti del romanzo è la montagna: montagna come filosofia di vita, come luogo di fuga, come spazio della giovinezza e dell’amore per i genitori di Pietro e come confine imposto ed accettato dal giovane Bruno. Montagne come orizzonte da sfidare, rifuggire, ricercare, scoprire. È la montagna la vera protagonista del libro: essa plasma, forgia e indurisce, ma pure unisce tra i suoi canaloni di roccia i fili delle storie di persone e generazioni diverse.

“Forse è vero, come sosteneva mia madre, che ognuno di noi ha una quota prediletta in montagna, un paesaggio che gli somiglia e dove si sente bene. La sua era senz’altro il bosco dei 1500 metri, quello di abeti e larici, alla cui ombra crescono il mirtillo, il ginepro e il rododendro, e si nascondono i caprioli. Io ero più attratto dalla montagna che viene dopo: prateria alpina, torrenti, torbiere, erbe d’alta quota, bestie al pascolo. Ancora più in alto la vegetazione scompare, la neve copre ogni cosa fino all’inizio dell’estate e il colore prevalente è il grigio della roccia, venato dal quarzo e intarsiato dal giallo dei licheni. Lì cominciava il mondo di mio padre. Dopo tre ore di cammino i prati e i boschi lasciavano il posto alle pietraie, ai laghetti nascosti nelle conche glaciali, ai canaloni solcati dalle slavine, alle sorgenti di acqua gelida.”

“Le otto montagne” non è affatto un romanzo banale. L’amicizia di Pietro e Bruno – il ragazzo di città e il montanaro – non è affrontata con leggerezza o ingenuità: i due ragazzi crescono insieme estate dopo estate a Grana, ma se per Pietro la montagna corrisponde alle vacanze e al divertimento, per Bruno significa lavoro, impossibilità di studiare e strada già tracciata. Questa frattura inizia a percepirsi quando i genitori di Pietro offrono all’amico la possibilità di ospitarlo a Milano per frequentare il liceo ma la famiglia di Bruno si oppone, portando il ragazzino con sé a lavorare come mandriano in altura prima, e come muratore poi. E mentre Pietro cresce da squattrinato aspirante documentarista un po’ bohemienne, per Bruno l’età delle responsabilità arriva molto prima. I due amici si allontanano e poi si ritrovano, ma devono ricostruire un linguaggio nuovo per dare voce alla propria amicizia e per far trovare sfogo ai fiumi carsici che la vita ha scavato dentro a entrambi.

La montagna li aspetta e li guarisce, ma ciascuno in modo diverso: Pietro parte alla scoperta delle sue “otto montagne”, mentre Bruno rimane su quella che è il Monte Sumeru della loro amicizia, il Grenon, cercando di avviare una famiglia e una sua attività casearia in alta quota.

È tutto un andare e un tornare, nel romanzo di Cognetti, e un cambiare prospettiva rispetto alle cose della vita: restare nelle valli è una soluzione? Cosa sarebbe cambiato, andandosene? A cosa ha dovuto rinunciare Bruno per rimanere lassù? E cosa ha perso Pietro, a causa della sua inquietudine? Ma soprattutto: cosa è rimasto a entrambi, e al padre di Pietro, e a tutti i microcosmi che si incontrano, scontrano e allontanano all’ombra del Grenon?

“Le otto montagne” è un romanzo-interrogativo. L’autore non ha trovato risposte alle domande che agitano il cuore del suo protagonista: ha però trovato il suo punto fermo. E forse è quello che ciascuno di noi cerca: ciascuno il suo.

“Da mio padre avevo imparato, molto tempo dopo avere smesso di seguirlo sui sentieri, che in certe vite esistono montagne a cui non è possibile tornare. Che nelle vite come la mia e la sua non si può tornare alla montagna che sta al centro di tutte le altre, e all’inizio della propria storia. E che non resta che vagare per le otto montagne per chi, come noi, sulla prima e più alta ha perso un amico.”