Un re generoso e appassionato e gli invitati alla sua festa, distratti e disinteressati

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire (vedi Vangelo di Matteo 22, 1-14).

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Il mistero del rifiuto di Israele

Il mistero del rifiuto di Gesù da parte dei responsabili religiosi ebraici resta grande. Il figlio mandato nella vigna prima dice di sì, ma poi non ci va. I vignaioli che hanno in custodia la vigna uccidono, prima i servi e poi il figlio. Il castigo, in quella parabola, era solo minacciato. Adesso nella terza delle parabole che indagano quel mistero, quella degli invitati a nozze, il castigo minacciato arriva.

Gesù usa il simbolismo del banchetto. Vedi la prima lettura. Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati.

Sono arrivati i tempi dell’abbondanza. Ma gli invitati non se ne accorgono

Il banchetto è pronto, sono arrivati gli ultimi tempi, quelli della gioia e dell’abbondanza. Dio sta offrendo la sua misericordia a tutti, senza distinzione e senza esclusioni. Ma bisogna decidersi. Gli invitati, però, o non si accorgono della novità e vanno alle loro occupazioni di tutti i giorni o, ancora una volta, come i vignaioli omicidi, uccidono senza ragione gli inviati del re. Matteo “si ricorda” allora, quando scrive il suo vangelo, che Gerusalemme, nel frattempo, è stata distrutta dai Romani. E pensa alla rovina della città santa come a una lontana conseguenza di quel rifiuto.

Dio non rinuncia alla sua misericordia

Dio, però, non rinuncia mai alla sua misericordia. La parabola sottolinea che tutti, indistintamente, vengono chiamati: “tutti quelli che troverete”, quanti ne trovarono, “buoni e cattivi”. Il popolo ebraico perde i suoi privilegi, dunque, ma, al suo posto, tutti possono essere chiamati ed entrare nel Regno, senza nessuna distinzione.

Resiste una sola condizione perché si possa partecipare degnamente al banchetto: la conversione del cuore, la trasformazione della propria vita, simboleggiato dall’abito nuziale. L’abito nella bibbia sta infatti a significare una purificazione, una conversione autentica. Chi non indossa questo abito non può entrare nella sala del banchetto e viene gettato nelle tenebre esteriori.

Gli invitati non si prendono cura della cura del re

È un Dio appassionato quello che appare nella parabola. Questo Dio è uno straordinario padrone di casa. Descrive i preparativi, fa vedere come è invitante la sua sala da pranzo. È un Dio che si prende a cuore la festa: come nella prima lettura: è lui che asciuga le lacrime. Di fronte a lui che “si prende cura” stanno gli invitati, che sono “amelesantes” che vuole dire: non pongono animo, sono distratti… Non si prendono cura della cura del re. Non gliene importa nulla. Da una parte il re, il figlio del re che si sposa, un pranzo regale. Dall’altra i buoi da vedere, gli affari da curare. Fino all’incredibile estremo: prendono gli inviati del re che li ha invitati e li uccidono.

La gioia mancata

Potremmo chiederci che cosa dice questa straordinaria figura di re, il suo pranzo, la sua festa. Potremmo girare la domanda così. Come mai noi cristiani siamo spesso così tristi, lamentosi, litigiosi… Ci lamentiamo perché abbiamo perso un po’ di clienti, di potere, di soldi… E ci piangiamo addosso. E così mentre facciamo i lamenti su quello che non abbiamo più, dimentichiamo quello che abbiamo ancora: un re che ci invita a pranzo, il figlio che celebra le sue nozze, la festa, fatta apposta per noi.

Il curato di  Torcy, nel Diario di un curato di campagna di Bernanos, dice:

Avrei diritto a passeggiare vestito come la Regina di Saba,  perché io porto la gioia. Ve la darei per niente, se me la domandaste. La Chiesa dispone della gioia, di tutta la parte della gioia riservata a questo triste mondo. Quel che avete fatto contro di essa, l’avete fatto contro la gioia.