Molte fedi, Lidia Maggi: “La donna nel cristianesimo? Profetessa di liberazione

Ospite del secondo incontro del ciclo dedicato alla figura della donna nelle grandi religioni monoteiste è stata Lidia Maggi, pastora battista, che ha guidato una riflessione sul ruolo della donna nel Cristianesimo.
La descrizione della figura femminile proposta dalla Maggi ricalca l’innovazione propria della Chiesa cristiana riformata, per la quale da cinquant’anni anche le donne hanno assunto un ruolo di ministerialità pastorale: questa apparentemente nuova connotazione femminile dell’essere guida di una comunità religiosa è, in realtà, presente nel Cristianesimo fin dalle origini. “Ma che cosa è accaduto alla figura della donna tanto lontana dal progetto sorgivo della Chiesa?” – interroga Maggi.
L’intervento della pastora inizia con il paragone fra la figura della donna e le Sacre Scritture: entrambe, infatti, pur costituendo il centro della vita cristiana, sono state e, tuttora, continuano ad esserlo “voci troppo basse per essere udite, voci silenziose, senza la forza di raccontare la propria storia”. Centro della vita cristiana riformata (e non solo, ndr) è la riappropriazione della Parola che costituisce l’origine della Chiesa e, per questo, deve essere riscoperta e, di nuovo, legittimata. Centro della vita cristiana riformata (e soltanto riformata, ndr), seppure da pochi decenni, è la legittimazione della figura femminile a ruolo di pastora, di colei che può proclamare la parola. “Il Cristianesimo è un credo innovativo rispetto all’Ebraismo perché l’alleanza tra Dio e il Suo popolo viene sancita attraverso il battesimo, concesso senza differenze a uomini e donne, che, in nome di questo legame, possono farsi portatori della Sua parola”.
Interessanti e ricchi di senso i due episodi evangelici che la Maggi sceglie per intrecciare la vita di Gesù, “profeta e poeta itinerante”, a quella delle donne da lui incontrate e “delle quali lui diventa liberatore”.
Gesù incontra le donne e le libera dal giogo di una società patriarcale, dall’obbedienza a spiriti maligni, di asservimento. La donna di cui narra Luca (Lc 13, 10-17), silente e piegata, inferma da diciotto anni a causa di uno spirito, che da Gesù viene chiamata a sé e liberata e che esce dalla sinagoga glorificando Dio, è simbolo di una guarigione e di una liberazione di genere: la condizione nella quale questa donna si trova a vivere per quasi metà della propria esistenza (considerata l’età media attorno al I secolo a.C., ndr) rappresenta una condizione di normale rassegnazione dalla quale la donna non può liberarsi. E, infatti, la donna non chiede a Gesù di essere guarita, erroneamente conscia della propria condizione. È Gesù che la guarisce, o meglio, la libera, come Dio Padre aveva fatto con il popolo d’Israele, e lei glorifica Dio, proclama, cioè, la Sua parola, infrangendo una tradizione patriarcale, perché solo agli uomini questo era concesso.
Altro episodio raccontato da Luca in cui Gesù eleva a condizione di discepola una donna, liberandola dalla sua ineluttabile condizione di silenziosa obbedienza è l’incontro con Marta e Maria (Lc 10, 38-42), in cui Maria, seduta ai piedi del Maestro, ascoltava: Maria non è seduta ai piedi di Gesù come donna obbediente, quanto, piuttosto, come discepola, come colei che apprende, ruolo attribuito in quel tempo soltanto agli uomini.
“Gesù libera le donne da una condizione di ingiusta e innaturale sottomissione e queste stesse donne liberate lo seguono, proprio come fanno i discepoli uomini. Gesù attribuisce visibilità alle donne ed è per questo che loro gli restano accanto fino alla morte, per salvaguardare il protagonismo femminile che sfugge ai tentativi di obbedienza e di potere di ogni tempo. E questo demone del patriarcato, questo demone di potere, è il problema più storico e più contemporaneo all’interno della Chiesa cristiana” – conclude la riflessione di Maggi.