La lettera aperta a Papa Francesco. La messa in latino

Stimatissimo papa Francesco, le sue iniziative pastorali e il loro fondamento teologico vengono in questo periodo aspramente attaccate da un gruppo di persone nella Chiesa. Con questa lettera aperta esprimiamo la nostra riconoscenza per la sua conduzione coraggiosa e teologicamente fondata. In breve tempo Lei è riuscito a riformare la cultura pastorale della Chiesa cattolica riportandola alle sue origini gesuane. A Lei stanno a cuore le persone ferite, la natura ferita. Vede la Chiesa alle periferie del mondo, come un ospedale da campo. Ciò che le interessa è ogni singolo essere umano amato da Dio. L’ultima parola nel rapporto con gli uomini deve essere una legge interpretata non in maniera legalistica, ma misericordiosa. Dio e la sua misericordia caratterizzano la cultura pastorale. Lei sogna una “Chiesa madre e pastora”. Questo suo sogno, noi lo condividiamo. La preghiamo di non scostarsi da questo cammino da Lei intrapreso e le assicuriamo il nostro pieno sostegno e la nostra costante preghiera.

Cosi la “lettera aperta a Papa Francesco” pubblicata il 18 ottobre scorso sul sito della chiesa tedesca katholisch.de e che sinora è stata sottoscritta da oltre 160 vescovi, teologi, politici e altri nomi celebri, tra cui l’ex presidente federale tedesco Wolfgang Thierse, l’ex presidente dell’Ungheria, László Sólyom e Anselm Grün, benedettino tedesco, autore di numerosi libri spirituali, David Steindl-Rast, anch’egli monaco benedettino degli Stati Uniti e altri personaggi importanti della Chiesa mondiale.

Una indiretta ma evidente risposta pubblica alla lettera di 25 pagine sottoscritta da 40 sacerdoti e studiosi laici del 24 settembre scorso dove papa Francesco veniva accusato di “sette eresie” rintracciate, secondo gli autori, nell’Amoris Laetitia, l’esortazione apostolica post-sinodale sull’amore nella famiglia.

La Messa di ieri per risolvere i problemi di oggi

Stavo pensando a queste cose quando con mia moglie e due dei miei figli decidiamo di andare insieme a messa. Sorpresa: arrivati nel piccolo e magnifico santuario troviamo il prete che durante la preghiera eucaristica volge le spalle ai fedeli. Non solo: l’intera preghiera eucaristica viene recitata in latino. Un volantino posto in fondo alla chiesa spiega che sempre più vi sono cristiani che vagano di chiesa in chiesa perché “non sopportano più le degenerazioni nate da una lettura distorta del Concilio Vaticano II” e sono stanchi di “liturgie sciatte e chiese brutte, di preti iperattivi o apatici, di parrocchiani sovraeccitati o depressi”.

Lascio stare le considerazioni sul Vaticano II che nascono certo da una scarsa conoscenza del contesto in cui l’evento è maturato. Se così non fosse, si saprebbe bene che i problemi liturgici non cominciano con il Concilio Vaticano II ma semmai con il Concilio cominciano ad essere risolti. Lascio stare l’opportunità, permessa da papa Benedetto, dell’uso dei riti della tradizione tridentina come a credere di trovare, magicamente, le soluzioni già pronte per la nostra condizione critica, arroccandosi su evidenze divenute nel tempo inevidenti e consolandosi con le piccole cose di un tempo.

La fedeltà è sempre un cambiamento

La questione è interessante perché permette di chiarire, ancora una volta, l’idea di “tradizione”. Parola tanto evocata quanto abusata. Per i sostenitori, questa è da intendersi, esclusivamente, nell’atto di “custodire il deposito” piuttosto che di svilupparlo. È il problema della parabola dei talenti: secondo il tradizionalismo, il più fedele sarebbe stato quello che li nasconde e non quello che li traffica. Il modello di fedeltà è pertanto statico. A questi ha risposto bene, più volte papa Francesco,

Il restare, il rimanere fedeli implica un’uscita. Proprio se si rimane nel Signore si esce da sé stessi. Paradossalmente proprio perché si rimane, proprio perché si è fedeli si cambia. Non si rimane fedeli, come i tradizionalisti o i fondamentalisti, alla lettera. La fedeltà è sempre un cambiamento, un fiorire, una crescita.

Vivere l’oggi del Vangelo

Ho più volte scritto che, a mio avviso, una delle ragioni dell’opposizione durissima che papa Francesco trova da una parte non secondaria della Chiesa è la sua volontà di portare a compimento il Concilio Vaticano II. Egli – primo Papa fra i pontefici postconciliari a non avervi preso parte – ha più volte ripetuto che non vuole che esso sia ridotto a “monumento che non dia fastidio”. Perché ciò che è in gioco è come ridire il Vangelo all’uomo di oggi, all’uomo concreto. Non esistono ricette o formule magiche. Tantomeno quelle che pretendono di muoversi in avanti guardando lo specchietto retrovisore.