L’alternanza scuola lavoro, un aiuto per i giovani. Il pedagogista Regoliosi: «Risponde a un bisogno reale»

L’alternanza scuola-lavoro (ASL), è una metodologia didattica che permette di alternare momenti di formazione in classe e in realtà lavorative con l’obiettivo di avvicinare i giovani al mondo del lavoro e orientarli. L’alternanza esiste già facoltativa da oltre un decennio, ma la recente riforma della “Buona scuola” (2015) l’ha resa obbligatoria. Sono state quindi assegnate 200 ore per gli studenti di liceo, 400 per quelli di istituti tecnici e professionali, da spalmare nell’arco degli ultimi tre anni scolastici. Questa alternanza si diffonde nei territori a maggior densità produttiva e permette ai giovani di inserirsi più facilmente nel mercato del lavoro, lo confermano i dati del report di Indire, (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa). Nelle province italiane dov’è più applicata, i tassi di occupazione giovanile sono più alti. Tra le prime dieci province italiane con la maggiore occupazione nella fascia 15-24 anni emergono, infatti, quattro province lombarde e del Triveneto, e la provincia di Bolzano, che sono quelle che sperimentano di più l’ASL. Il nostro Paese è ancora lontano dagli standard europei, perché solo il 10,7% degli studenti di scuola secondaria superiore è inserito in percorsi di ASL. Un numero molto basso se paragonato ai Paesi avanzati europei (Svizzera 60%, Danimarca 46%, Germania 42%).
Luigi Regoliosi, psicologo e formatore, pedagogista ed esperto di prevenzione del disagio giovanile ci spiega tutti i meccanismi e i punti di forza e di debolezza di questa metodologia didattica per far comprendere quale opportunità l’ASL rappresenta per le giovani generazioni. «L’idea dell’ASL risponde a un bisogno reale», sintetizza Regoliosi, nato nel 1947 a Vigevano, professore di Pedagogia e Didattica presso il Seminario Vescovile di Bergamo Giovanni XXIII e Direttore di una scuola triennale di Counseling presso il Collegio Vescovile Sant’Alessandro.
Secondo gli ultimi dati Istat il tasso di disoccupazione giovanile a settembre è risalito al 35,7%, con un aumento di 0,6 punti percentuali su base mensile. Prof Regoliosi, l’alternanza scuola-lavoro è preziosa per il futuro lavorativo dei nostri figli e può rappresentare per le giovani generazioni un’opportunità?
«Sulla carta l’ASL può rappresentare un’opportunità, poi dipende molto da come viene realizzata. In linea di principio cercare di ridurre la distanza tra il mondo della scuola e quello del lavoro, tra il mondo giovanile e il mondo adulto, tra lo studio e la realtà concreta operativa mi sembra una buona cosa, che risponde a un’urgenza di oggi. Quello che avvertiamo come un problema è il crearsi di una distanza sempre più grande tra mondo giovanile e mondo adulto come se il mondo giovanile fosse a sé stante, completamente separato alla realtà del mondo produttivo, non solo adulto».
Fare dunque esperienza “sul campo” e superare il gap “formativo” tra mondo del lavoro e quello accademico in termini di competenze e preparazione. Quali sono le capacità che sviluppano i giovani?
«La prima capacità è quella di adattamento, che vuol dire flessibilità, capacità di entrare dentro ambienti nuovi imparando a conoscere mentalità, cultura e regole di un ambiente nuovo. Un’altra capacità che possono sviluppare i giovani è la flessibilità mentale, anche la creatività, cioè dare risposte nuove a situazioni inedite. Uscire dagli schemi abituali per entrare dentro contesti che richiedono duttilità mentale nuova. Altri aspetti sono quelli del lavoro di squadra, di equipe, lavorare insieme la progettualità. Tutti aspetti che nella vita scolastica sono poco sviluppati. L’ASL mette in evidenza il rapporto diretto tra impegno e risultato che molte volte nell’esperienza scolastica è poco visibile, mi riferisco soprattutto ai ragazzi “difficili”, che hanno difficoltà a scuola. Questi ragazzi se vengono mandati a fare un’esperienza lavorativa tornano a casa contenti, perché hanno visto il risultato concreto del loro lavoro. Fondamentale quindi il recupero del rapporto diretto tra sforzo e risultato, tra impegno e prodotto. C’è anche un senso di gratificazione rispetto a quella sensazione che hanno i nostri studenti di “girare a vuoto”».
I presidi dei licei si sono rivolti ai parroci per avviare percorsi di lavoro e volontariato in centri estivi, doposcuola, centri diurni e residenze per anziani e disabili, associazioni sportive, persino negli archivi e nei cinema parrocchiali. Desidera parlarci di questa alleanza educativa che richiama la Chiesa “in uscita” di Papa Francesco?
«Mi sembra un’opportunità molto interessante, che può fare molto bene agli oratori. Questi ultimi storicamente sono nati per dare una risposta alle urgenze del mondo giovanile. Gli oratori sono nati “sulla strada” e nascendo “sulla strada” pensando a Don Bosco si sono assunti il problema del lavoro. Nei primi oratori si faceva molta formazione professionale e molta pratica lavorativa, quindi il recupero di questa dimensione vuol dire anche tornare un po’ alle origini. L’oratorio da luogo di gioco e catechesi a luogo di apprendistato, che intercetta una domanda oggi particolarmente urgente per il mondo giovanile. La domanda deve essere riaccostata al mondo del lavoro. Questa alleanza educativa la giudico positiva sia per i giovani e sia per gli oratori come recupero di una vocazione specifica degli oratori, che è quello, come abbiamo detto, di intercettare i bisogni giovanili. Nello stesso tempo l’oratorio si apre al territorio e ai suoi bisogni concreti».
L’alternanza scuola-lavoro può anche rivelarsi utile nei confronti del disagio giovanile?
«Sì, l’ho detto prima. Effettivamente tra le cause di disagio giovanile c’è anche questo estenuante allungarsi dell’adolescenza oltre i limiti biologici. Il protrarsi di una sorta di limbo, di spazio separato tra mondo giovanile e mondo adulto trasmette ai ragazzi la sensazione di non arrivare mai ad avere un rapporto con la realtà concreta, ad avere un risultato, uno sbocco. Questa è una causa di disagio. I giovani hanno la sensazione che la società non gli domandi nulla, non si aspetti nulla da loro, che non ci sia una domanda nei loro confronti. In passate generazioni il giovane studiava con la percezione che poi avrebbe fatto qualcosa di utile per la società. Adesso invece è diffusa la percezione che la società non ha bisogno dei giovani, perché tutti i posti sono già occupati dai “vecchi” che non se ne vanno… tutto ciò toglie speranza, senso e significato. “Io studio tanto, ma per che cosa? Tanto alla società del mio studio non importa nulla, non ha bisogno di me”. Invece anticipando le esperienze lavorative, quanto meno come incontro, conoscenza e dialogo, si riduce anche questa sensazione di distanza, di estraneità. L’ASL non risolve il problema della disoccupazione giovanile ma fa delle anticipazioni di senso a questi ragazzi, perché fa vedere agli studenti dove va a finire il loro studio, che tipo di sbocchi può avere, che utilità può avere facendoli sentire utili, produttivi. In questo senso l’ASL può essere una risposta al disagio giovanile. Sottolineo che in tante storie di disagio che ho seguito in questi anni l’esperienza lavorativa anticipata, lo stage, sono state molte volte lo sblocco. Un ragazzo che fatica nei banchi di scuola, mandato a lavorare in una cascina piuttosto che in una fabbrica recupera senso del proprio valore».
Alcuni giorni fa gli studenti di Lucca sono scesi in piazza contro l’alternanza scuola-lavoro, affermando che non è altro che uno sfruttamento degli studenti da parte delle aziende. Il collettivo ha inoltre spiegato che l’alternanza scuola-lavoro consiste in 200 ore obbligatorie sottratte allo studio e al tempo a loro disposizione. Quali sono, se ci sono, i contro dell’ASL?
C’è il rischio che l’ASL venga fatta male, in modo solo formale, che si creino delle situazioni di finto lavoro, come accade in altri settori. Il rischio è che non vengano costruiti bene i progetti, che siano fatti soltanto “sulla carta” per un adempimento formale, che non ci sia una effettiva cura formativa. Tutto è affidato alla serietà con cui i progetti vengono costruiti dalle alleanze educative con i vari soggetti. L’idea dell’ASL è buona, dipenderà tantissimo da come viene realizzata. Essendo una cosa relativamente nuova ci saranno dapprima delle incertezze, occorrerà una riflessione seria, anche dal punto di vista pedagogico, su cosa vuol dire accostare i giovani al lavoro e costruire queste situazioni che non siano né di pura e semplice presenza passiva, né di puro e semplice sfruttamento ma che siano davvero di apprendimento. Fondamentale la figura del tutor, sia esterno sia interno che sono figure centrali. Se funzionano bene i tutor, funziona tutto. In poche parole: che ci sia un reale accompagnamento».