Edizione speciale del “catechismo della Chiesa Cattolica”. Monsignor Rino Fisichella: «Un aiuto concreto per rispondere alle sfide del mondo di oggi»

L’11 ottobre del 1992, San Giovanni Paolo II consegnava ai fedeli di tutto il mondo il Catechismo della Chiesa Cattolica presentandolo come “testo di riferimento” per una catechesi rinnovata alle vive sorgenti della fede, risultato della collaborazione e della consultazione di tutto l’episcopato della Chiesa Cattolica. Venticinque anni dopo per celebrare l’anniversario, il Gruppo Editoriale San Paolo, in coedizione con la LEV (Libreria Editrice Vaticana), presenta una speciale edizione del “Catechismo della Chiesa Cattolica” (pp. 1722, 29,90 euro), corredata da un nuovo commento teologico-pastorale dell’Arcivescovo Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, con l’obiettivo di rendere il Catechismo un sussidio indispensabile e un aiuto concreto per saper rispondere alle grandi sfide che il mondo di oggi pone dinanzi ai credenti.

Coordinati da Mons. Fisichella, già rettore della Pontificia Università Lateranense e docente di Teologia Fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana, esperti di tutto il mondo (tra i quali Enzo Bianchi, Goffredo Boselli, Anna Maria Cànopi, Ignace de la Potterie, Aristide Fumagalli e Luis Ladaria), rileggono i diversi articoli del testo alla luce dei grandi temi della vita quotidiana: la ricerca di Dio, la fede, la Chiesa, i sacramenti, i comandamenti, la preghiera. Tutto tenendo conto della pubblicazione d’importanti documenti del Magistero, dopo la promulgazione del Catechismo e dei cambiamenti avvenuti in questi anni.

Abbiamo intervistato Monsignor Fisichella, nato a Codogno in provincia di Lodi il 25 agosto 1951, presidente della Pontificia Accademia per la Vita dal 2008 al 2010, considerato tra i più autorevoli teologi italiani a livello internazionale.

Mons. Fisichella, quali sono le principali novità di questa nuova edizione del “Catechismo della Chiesa Cattolica”?

«Tengo a precisare, a scanso di equivoci, che non si tratta di una nuova edizione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Il testo del Catechismo non è mutato, ma è lo stesso che è stato presentato nel 1992 e del quale, lo scorso 11 ottobre, abbiamo celebrato i venticinque anni. Nuovo, invece, è il Commento teologico-pastorale che segue e accompagna il testo del Catechismo, esplicitandone i contenuti e inserendoli nell’uso più catechistico e nelle diverse espressioni della vita ecclesiale. In contemporanea con l’uscita del Catechismo, nel 1993, sono stato curatore di un primo Commento che fu accolto con entusiasmo, e le ripetute riedizioni ne attestano la sua fortunata riuscita. Dopo alcuni decenni, visto il ministero che il Papa mi ha chiamato a svolgere nella promozione della nuova evangelizzazione, che comporta la responsabilità della catechesi, ho pensato che si dovesse riprendere questo strumento così utile soprattutto per i sacerdoti e i catechisti. Ne è scaturita un’edizione completamente nuova, con il coinvolgimento di quaranta esperti nelle varie materie che, anche in questa sede, mi piace ringraziare per i loro preziosi contributi. La composizione internazionale attesta che il Catechismo della Chiesa Cattolica è un vero servizio alle Chiese particolari e il suo utilizzo è sostenuto dalla riflessione teologica e pastorale di teologi e catecheti del mondo intero. In questa nuova edizione, comunque, è stato conservato il saggio scritto dal compianto Padre Ignace de la Potterie come attestazione di affetto e stima a questo mostro dell’esegesi che ha insegnato in maniera coerente la Parola di Dio».

Desidera descrivere il significativo logo che caratterizza l’edizione che simboleggia lo scopo principe del testo stesso?

«Il logo, che caratterizza, sin dalla sua prima edizione il Catechismo, è composto di elementi molto significativi: il buon Pastore con un bastone in mano nell’atto di suonare il flauto; la pecorella accanto a lui in ascolto della sua musica e ambedue all’ombra dell’albero della vita. La metafora del buon pastore è capace di sintetizzare in sé due aspetti che apparentemente potrebbero sembrare contrastanti: quello dell’autorità e quello dell’amicizia. Il pastore, infatti, deve essere forte per difendere il suo gregge; nello stesso tempo, comunque, è capace ad amare teneramente. Si nota, inoltre, che il pastore è seduto e tiene in mano il bastone. Essere seduto è segno di autorità, perché indica il maestro che insegna. Per il pastore nomade, il bastone è il segno del cammino. Questi particolari aiutano a cogliere lo scopo del Catechismo della Chiesa Cattolica. L’insegnamento che viene offerto non è altro che la fede della Chiesa, così come si è sviluppata nel corso dei secoli, e che ha la sua fonte primaria nella Parola di Dio vissuta dalla comunità cristiana e interpretata autenticamente dai suoi Pastori. C’è, comunque, un cammino che si deve percorrere e non è ancora ultimato. Il buon pastore, seduto con in mano il bastone, sta suonando il flauto. La musica è segno della melodia e della bellezza dell’insegnamento del pastore. Il lungo cammino ha bisogno di una pausa. È il tempo per recuperare le forze e fare il punto della situazione. La pecorella è seduta accanto al pastore e lo guarda e ascolta con fiducia. È questo, l’atteggiamento fondamentale che si deve nei confronti della musica del maestro: la disponibilità all’ascolto, perché egli non vuole e non può ingannare. L’immagine si applica facilmente al Catechismo della Chiesa Cattolica. Esso si inserisce in quel costante insegnamento «ordinario» dei Pastori della Chiesa; per questo motivo il popolo di Dio lo accoglie con fiducia e disponibilità nell’ascolto attento e nello studio sistematico. Il logo, inoltre, è avvolto come in una cornice, dall’albero della vita. È l’albero posto al centro del giardino dell’Eden (cfr. Gn 2, 8); è lo stesso albero che, rinnovato dal sangue dell’Agnello si ritrova nell’Apocalisse. Un albero che “dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese, le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni” (Ap 22, 2). All’ombra di questo albero della vita, i credenti trovano riparo e orientano il loro sguardo al cammino successivo che resta da percorrere».

Il testo è uno strumento necessario per la nuova evangelizzazione?

«Il Catechismo della Chiesa Cattolica si presenta proprio come uno strumento a servizio della nuova evangelizzazione, in quanto consente di evidenziare l’unità che intercorre tra l’atto con cui si crede e i contenuti della fede. Una tendenza diffusa nei nostri giorni tende a giustificare il fatto di essere cristiani indipendentemente dalla conoscenza dei suoi contenuti. Niente di più pericoloso di una simile tendenza. L’atto con cui si crede, infatti, si giustifica proprio per la conoscenza del mistero a cui si dà il proprio assenso. In forza di questa conoscenza, credere diventa un atto libero della persona e non uno stanco gesto di appartenenza a delle tradizioni. Il Catechismo della Chiesa Cattolica può aiutare la nuova evangelizzazione a superare una difficoltà presente in diverse Chiese che spesso limitano la catechesi alla sola preparazione dei sacramenti. Questa impostazione mostra oggi i suoi limiti. Se la catechesi è indirizzata alla ricezione dei sacramenti, appare evidente che terminato il percorso per quelli dell’iniziazione cristiana, la formazione successiva corre il rischio di andare alla deriva. È tempo di riprendere con convinzione la possibilità di una formazione costante, rivolta a tutti i credenti, rispettando i diversi stadi e metodologie, ma tesa a offrire la comprensione del mistero cristiano in vista di una esistenza coerente con quanto si crede. Un punto decisivo dell’evangelizzazione, in questo frangente storico, è, infatti, quello di saper dare ragione del perché si crede. L’insistenza sui contenuti della fede, certamente è decisiva; eppure è urgente che il cristiano sappia rispondere al perché è credente. In altre parole, deve essere capace di dare a se stesso, anzitutto, spiegazione convincente del suo atto di credere e di volersi affidare a Dio che si rivela in Gesù Cristo. Questo momento non può essere dimenticato com’è avvenuto negli ultimi decenni. Le conseguenze negative di questo oblio sono dinanzi ai nostri occhi. Tra le tante, si può far riferimento alla privatizzazione della fede, dovuta alla dimenticanza che è un atto personale ma allo stesso tempo ecclesiale. Si possono conoscere i contenuti della fede, come se fossero delle formule chimiche, senza essere capaci di entrare in essi con la forza della convinzione che proviene solo dalla scelta compiuta. Scegliere di credere consente di comprendere la propria vita come una chiamata alla libertà. In un periodo come il nostro in cui la libertà assume un’importanza così qualificante e decisiva, anche se spesso equivocata, non è affatto secondario dare le ragioni della scelta di fede come un atto personale in cui il credente esprime al meglio il suo desiderio di libertà e la sua forza di esercitarla».

Questa edizione speciale del Catechismo s’inserisce nel solco del vento nuovo scaturito dal Concilio Vaticano II?

«Il Catechismo della Chiesa Cattolica è un frutto prezioso del Concilio Vaticano II (1962-1965) come ha dimostrato il Sinodo del 1985 che ha chiesto a Giovanni Paolo II procedere in tal senso, e continua, insieme ai suoi documenti, ad alimentare la vita del popolo di Dio nell’ascolto della Parola di Dio e nella responsabilità di offrire il proprio contributo al mondo di oggi. San Giovanni Paolo II scriveva in proposito: “Questo catechismo apporterà un contributo molto importante a quell’opera di rinnovamento dell’intera vita ecclesiale voluta dal concilio Vaticano II… Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunità ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della fede” (FD 1). A questa voce è necessario aggiungere quella più recente di Papa Francesco che ne ha attualizzato il significato: “il Catechismo della Chiesa Cattolica, strumento fondamentale per quell’atto unitario con cui la Chiesa comunica il contenuto intero della fede, ‘tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede’” (LF 46)».

Bergoglio riguardo alla pena di morte, nel discorso di chiusura dell’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, ha esortato a “far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana”. Come si esprime al riguardo l’attuale Catechismo e che cosa dice del commento presente nella sezione dedicata ai Dieci Comandamenti fatto dal teologo Stefano Zamboni?

«Il Catechismo della Chiesa Cattolica, su questo tema, si occupa ai numeri 2266 e 2267 nel paragrafo dedicato alla “legittima difesa” all’interno della parte dedicata al quinto comandamento: non uccidere.  Al numero 2267 afferma che: “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani”. Si afferma un insegnamento tradizionale della Chiesa che, in effetti, ammette la possibilità della pena di morte a salvaguardia del bene comune. Il numero, comunque, precisa anche che: “Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo ‘sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti”. Il teologo Stefano Zamboni, che ha curato, in questa edizione, il commento al quinto comandamento, dopo averne effettuato un’accurata analisi, afferma in merito alla legittimità e al possibile ricorso alla pena di morte: “Sarebbe quindi auspicabile un maggior coraggio del Magistero universale in questa linea di rifiuto, ‘anche teorico’, della legittimità della pena capitale”. L’auspicio di Zamboni sembra essere stato raccolto. Non dimentichiamo che già san Giovanni Paolo II nel momento in cui apparve il Catechismo della Chiesa cattolica, sentì il dovere di intervenire subito con l’Enciclica “Evangelium Vitae”, in cui diceva esplicitamente il suo pensiero in proposito, e che venne ripreso cinque anni dopo. Quindi nella redazione ufficiale – quella in latino – quel testo sulla pena di morte venne cambiato, mostrando il progresso che il Magistero ha avuto riguardo alla pena di morte. Successivamente sono significativi alcuni interventi di Benedetto XVI, che hanno portato ancora più in là la riflessione. Papa Francesco, sin dai primi anni del suo Pontificato, era intervenuto su questo aspetto, dicendo che anche l’omicida non perde mai la sua dignità personale. Nel corso della celebrazione del venticinquesimo anniversario del Catechismo, poi, parlando della pena di morte ha effettuato un ulteriore passo, affermando: “Mi piace fare riferimento a un tema che dovrebbe trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica uno spazio più adeguato e coerente con queste finalità espresse. Penso, infatti, alla pena di morte. Questa problematica non può essere ridotta a un mero ricordo di insegnamento storico senza far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana. Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. È in se stessa contraria al Vangelo, perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo in ultima analisi è vero giudice e garante… A nessuno, quindi, può essere tolta non solo la vita, ma la stessa possibilità di un riscatto morale ed esistenziale che torni a favore della comunità”. È ovvio che con queste parole il Catechismo della Chiesa Cattolica dovrà ora confrontarsi e, probabilmente, modificare anche la collocazione. La pena di morte non è più vista in prospettiva della legittima difesa, ma piuttosto della dignità della persona. Insomma, cambia proprio l’orizzonte interpretativo».