Riflessione a distanza sulle elezioni in Sicilia. Quello che dicono della Sicilia e quello che predicono dell’Italia

Nello Musumeci, il nuovo governatore della Sicilia

Le elezioni siciliane sono già alle spalle. Commentato ciò che si doveva necessariamente commentare, fatto uso e abuso dei risultati elettorali a fini di lotta politica e pre-elettorale, resta tutt’ora uno spazio e di riflessione, che la volatilità mass-mediatica tende naturaliter a riempire di altri materiali, che la quotidianità secerne fino all’overdose.

Chiunque si sia presentato alle elezioni in Sicilia nell’ultimo decennio, ma non solo, si è impegnato a promettere “nuovi cieli e nuova terra”. L’ultimo a esibire tali sogni fu Crocetta, il governatore uscente. Un tono simile lo hanno ripreso in questa campagna elettorale i pentastellati. Il governatore neo-eletto, Nello Musumeci, è stato leggermente più sobrio. Quanto alla lista Micari, appoggiata da Orlando, sindaco di Palermo, e dal Pd, ha tenuto le ali ancora più basse, avendo la consapevolezza realistica che nessuna delle promesse mirabolanti che avesse eventualmente fatto, avrebbe mai potuto essere realizzata. D’altronde il sistema elettorale siciliano, che permette il voto disgiunto tra quello del Presidente e quello delle liste, e che si fonda sul voto proporzionale, consente voli pindarici solo in campagna elettorale. Dopo, tutti volano basso. Così non è del tutto certo che Musumeci, appoggiato da una variegata coalizione, possa godere di una maggioranza solida, visto che è già assai litigiosa al proprio interno. Se poi, per consolidarla, si dovesse ricorrere ad una coalizione più ampia, il governo della Regione sulla carta sarebbe certamente più forte, ma nella realtà verrebbe subito frammentato e perciò paralizzato da opposte e non convergenti spinte.

La prima grana: il bilancio

La prima grana è certamente quella del Bilancio, fortemente contestato su più punti e imputato di irregolarità dal  Ministero dell’Economia e delle Finanze, dalla Ragioneria generale dello Stato, dal Procuratore generale d’appello della Corte dei conti. È la prima volta in 71 anni di autonomia siciliana che i giudici contabili esprimono il loro veto all’approvazione del Bilancio. La Sicilia si trova sull’orlo del default, dovuto all’enorme indebitamento: 8 miliardi e 35 milioni di debito al 31 dicembre del 2016. Il Procuratore generale denuncia un uso anomalo del meccanismo dell’anticipazione di liquidità; il costo dei nuovi mutui; i parchi archeologici, che dovrebbero essere «l’oro nero» della Sicilia e che invece sono al limite di collasso; le partecipate regionali, tra cui quella affidata al Savonarola nazionale ex-PM Antonino Ingroia: la “Sicilia e-Servizi”, ora Sicilia Digitale Spa. Il Procuratore generale informa di aver disposto un’ispezione per presunte irregolarità, ma Ingroia ha vietato l’accesso ai funzionari regionali. Crocetta ha fatto orecchie da mercante.

Se dunque poco possono far prevedere i risultati siciliani rispetto alle elezioni politiche nazionali della primavera 2018, tuttavia uno squarcio di pre-visione lo offrono: quello dell’instabilità e dell’impotenza del prossimo governo che uscirà dal Parlamento eletto con il Rosatellum. Beninteso, uno scenario del tutto prevedibile, anche in assenza di elezioni siciliane, ma del quale quei risultati offrono una rappresentazione icastica impressionante. L’abisso dell’ingovernabilità è di nuovo comparso davanti a noi, ma i partiti hanno costruito un sentiero che porta inevitabilmente i moderni “moutons de Panurge” a buttarvisi.

Sì, da questo punto di vista la Sicilia è un laboratorio politico, di cui molti politici siciliani vantano con orgoglio, forse degno di causa migliore, il carattere nazionale.

Una lettera di Sturzo

Nazionale lo è di certo, anche sotto altri aspetti. La Sicilia è un esempio di società civile indebolita e corrotta dall’assistenzialismo statale. Nella straordinaria Lettera ai Siciliani, pubblicata sul Giornale d’Italia il 24 marzo del 1959 – Sturzo sarebbe morto l’8 agosto di quell’anno -, che Il Foglio ha recentemente riproposto, don Sturzo metteva mette in guardia contro le statalizzazioni e le regionalizzazioni “che sono i nemici della produttività della stessa classe lavoratrice”. Denuncia una partitocrazia famelica, che invece di creare sviluppo inventa enti e sub-enti, finanziati dallo Stato e dal denaro pubblico. E va controcorrente rispetto all’ideologia vincente dell’epoca: quella dell’industrializzazione, che alla fine si è ridotta a rovinare con le raffinerie gli straordinari litorali del Sud della Sicilia, mentre l’agricoltura e le foreste sono stati abbandonati, nonostante l’abnorme numero di forestali, dieci volte più di quelli lombardi. L’autonomia siciliana, che pure don Sturzo difende, è stata storicamente un’arma con cui le classi dirigenti della Sicilia hanno chiamato le classi sociali da loro oppresse per difendere i propri privilegi contro “lo straniero”. Una riuscita operazione di egemonia, quando gli oppressi diventano complici di chi li opprime.

Non ha fatto di meglio il sicilianismo democratico del dopoguerra, quasi subito corrotto in rivendicazionismo corporativo-assistenziale: più di settant’anni di autonomia hanno ridotto la società civile siciliana al sottosviluppo, alla clientela, alla corruzione, all’intreccio della mafia con la società e la politica. Il fatto è che l’autonomia senza la responsabilità di imposizione fiscale è un inganno, istituzionalizzato nella Costituzione con lo “Statuto speciale”. Mentre si possono comprendere le ragioni, anche internazionali, che hanno portato al riconoscimento “speciale” nel 1948, oggi queste sono venute meno. La complicità tra oppressori e oppressi, tra classe dirigente e popolo, tra società civile e società politica, nel chiedere e nello spendere soldi pubblici ha segnato ormai da tempo lo spazio pubblico e il discorso pubblico in Sicilia. Indelebilmente? Stupisce che nessun partito abbia sollevato la questione dell’autonomia speciale. Perchè? Avendo per anni mal-educato i cittadini sul tema, è evidente che gli elettori non avrebbero gradito. Anche l’astensionismo così alto – quasi il 54% – deve essere visto sotto una luce più cruda: rifiuto dell’urna per denuncia ormai disperata contro le inadempienze della politica o protesta contro la politica che non riesce più a ottenere dallo Stato centrale le risorse di una volta? Con tutta probabilità un mix di ambedue le motivazioni. Da questo punto di vista, sì, forse la Sicilia anticipa il futuro prossimo del Paese.