Quando muore un giovane

Gianluca Plebani (1995-2016)

Che tutti dobbiamo morire è una certezza. Ciascuno, poi, guarda a questo momento della vita a seconda del suo modo di vedere il senso dell’esistenza e sulla base della sua scelta di credere in Dio o in altro. Quello che è altrettanto certo, è che il morire del giovane è un morire particolare.

Il primato dei panini mangiati

Provo a darne rilettura ripensando a ciò che abbiamo vissuto un anno fa a Telgate: la morte di Gianluca. Gianluca era un ragazzo solare, pieno di vita, figlio unico arrivato dopo tanta attesa nella vita dei suoi genitori, che desideravano avere più bambini. Un ragazzo come gli altri: aveva ricevuto la Cresima, veniva in Oratorio, faceva l’animatore al CRE. Tutt’oggi rimane imbattuto il suo record di panini mangiati in un giorno solo nel campeggio estivo. Insomma, il ritratto della salute.

Un sms: “è tumore al cervello”

Ricordo quando lo incontravo, le sue parole: “don tutto bene, gli esami non sono bellissimi ma nulla di grave credo… guarda che vengo in montagna… dì ad Elvira di preparare i panini”. Una risata e ci si salutava. Fino a quel giorno terribile, fino a quel messaggio sul cellulare che avrei voluto distruggere: “è un tumore al cervello. Lo operano, ma è aggressivo”. Da quel giorno, quando Gianluca aveva sedici anni, ho visto crescere un lottatore che non ha mai smesso di tenersi legato alla vita. Cinque anni di battaglie, cure massacranti, ma anni di vita, grazie all’amore. Gianluca ha vissuto il suo Calvario, certo, ma accompagnato dall’amore. L’amore di mamma e papà, della sua famiglia, della fidanzata, degli amici, dei compagni di scuola, del suo insegnante di religione don Antonio, di tutti. Anche chi non frequentava l’oratorio, magari in polemica con la Chiesa, mi fermava per chiedermi “don, come sta Gianluca?”.

7 novembre: “Gianluca è in Paradiso”

Il tempo di un’ultima risata insieme, a settembre, e giunse novembre, giorno 7. Mi chiama don Mario: “non so se sai già.. Gianluca è in Paradiso”. Vado a trovarlo subito, abbraccio mamma Katia: dovrei consolarla, ma è lei che consola me. Chiamo i giovani e gli adolescenti più grandi: insieme scriviamo la veglia per la sera prima del saluto. Vogliono dire la loro: io scelgo il Vangelo e lo commento, il resto lo scrivono i suoi amici, con una delicatezza, una dolcezza e una fede che forse io non ho. Entrati in casa, Gianluca, adagiato nella bara di legno chiaro, col volto rilassato di chi dorme sereno, sorride.

Quel sorriso non mi ha più abbandonato. La morte di un giovane, così ingiusta per gli uomini, è un mistero che ha risposta solo in Dio. A me, a noi, Gianluca ha risposto col suo sorriso, che pareva dirci, come San Paolo: “ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”.

Gianluca sorride, in Dio è felice: la sua gioia ci riempie di speranza.