L’odio in rete? Nasce dall’ignoranza: lo smartphone è come uno scudo, ci fa sentire invincibili

Come si diffonde l’odio? Cosa ci porta ad essere così arrabbiati sui social network? Riccardo Scandellari, creativo, giornalista e esperto di marketing digitale e personal branding, qualche mese fa ha pubblicato un interessante articolo sul suo blog (https://www.skande.com/rispondere-attacchi-personali-201708.html) dove si è parlato di hater, attacchi personali sul web e come affrontarli.
Abbia parlato con lui per capirne un po’ di più su questo argomento, e ci siamo confrontati sull’attuabilità di alcune possibili soluzioni.
Chi sono questi hater online? Sono gli “invidiosi frustrati” che ci aspetteremmo o è una visione semplicistica?

“Secondo me sono persone inconsapevoli ed essere inconsapevoli significa che non hanno la percezione del mezzo che stanno utilizzando. Se ci incontriassimo al bar la mattina ci penseremmo 10 volte prima di mandare a quel paese o attaccarlo, online invece è come se avessimo uno scudo, come in automobile. C’è uno studio che dice che in automobile ci percepiamo addosso una corazza che ci fa sentire invincibili, perché non c’è il rapporto, lo scontro diretto, quindi possiamo mandare a quel paese chiunque, e lo stesso avviene sui social network. C’è gente molto più aggressiva in auto rispetto a quanto non lo sarebbe di persona, perché più allontaniamo qualcuno e più per noi è facile scaricargli addosso le energie negative. Quindi molte di queste persone utilizzano i social media per scaricare le proprie frustrazioni, quello che prima pensavano adesso lo scrivono, e da questo viene fuori di tutto. La società contemporanea, inoltre, non è un posto semplice dove stare e in particolare non lo è il mondo del lavoro. ognuno in casa, in famiglia, al lavoro ha i suoi problemi, o pensa di averli, e questo mix di elementi fa sì che online ci sfoghiamo. In quei 10 minuti al giorno possiamo trasgredire e fare quello che non possiamo fare nella vita reale, perché online è consentito e non abbiamo la percezione che invece questo sia quasi più reale della realtà. Perché online è molto più pericoloso, quello che scriviamo rimane per sempre e soprattutto danneggia la persona che attacchiamo. Soprattutto se lo fai nei confronti di qualcuno che non è abituato; gli fai del male, male davvero, come se lo attaccassi di pensona”.

Parliamo poi di un attacco su piazza pubblica.
“Esatto, uno degli elementi di pericolosità sta nel fatto che può diventare virale, mentre al bar ci saranno giusto quelle 5-6 persone ad ascoltare se attacchi qualcuno. Online potrebbero essere 100-1000-10000 persone che ti ascoltano mentre lo stai facendo”.

Ha un’influenza il fatto che sia un fenomeno così diffuso? Anche se non penserei mai di fare qualcosa del genere, nel momento in cui vedo qualcuno farlo allora vengo stimolato a farlo a mia volta?
“C’è una teoria che si chiama delle finestre rotte, significa che sei portato a tirare un sasso contro una finestra se ne vedi una già rotta da qualcun altro. Se nessuno controlla e si prende cura di questo palazzo significa che anch’io posso predere un sasso e tirarcelo, nessuno mi verrà a dir nulla. Questo è un po’ il meccanismo che si instaura in questo tipo di strumenti. Non sono presidiati e se vediamo gli altri, il branco, che comunque si supporta e si carica, noi ci lasciamo trascinare da questa logica di branco, un po’ come succede allo stadio.

Molte aziende come fb, google, twitter stanno cercando dei sistemi automatici per arginare commenti violenti, troll etc. Può essere una soluzione effettuare questa sorta di censura preventiva e non umana tramite riconoscimento digitale automatico dei commenti?
“Dubito che l’intelligenza artificiale, che adesso è ancora molto elementare ma in futuro sarà sicuramente più vicina all’intelligenza umana, possa davvero fare qualcosa. Adesso lavora sulle parole chiave: esistono varie parole chiave che, se elaborate in una certa successione semantica, vengono riconosciute come commento violento. In realtà capiamo bene che questi fenomeni non sono arginabili così. Sono arginabili con la cultura. Però è difficile informare e dare cultura su queste cose ad una fetta di popolazione che fino a tre anni fa era inconsapevole della loro esistenza. Si sono trovati uno smartphone in tasca e da quel momento hanno iniziato a postare senza nessuna esperienza, senza avere una consapevolezza sociale e storica. Credo che nelle prossime generazioni le persone si abitueranno ad avere un rapporto diretto con le altre sui social e matureranno la consapevolezza di quel che stanno facendo. Per me al 90% è un problema di inconsapevolezza nei confronti del mezzo che si sta utilizzando, oltre al fatto che molti covano una rabbia repressa ma quello è un problema dell’ordine degli psicologi, non mio”.

Parliamo di censura umana. Quando si arriva ad un ban, un blocco completo e non se ne parla più, non c’è il rischio che questa azione venga vista come qualcosa di negativo? Quindi non si rischia di finire per trovarsi nei panni del censore intransigente che non accetta le opinioni altrui?
“Quelli come me che sono partiti molti anni fa, il mio primo collegamento ad internet è stato nel 1997 forse anche prima, sanno che all’inizio c’era un gruppo veramente minuscolo di persone che si trovavano in rete. Allora esisteva questa netiquette, esisteva questo termine, ovvero una serie di regole a cui tutti si attenevano. Adesso non è più possibile, nessuno può far leggere le migliori pratiche per riuscire a stare sul web. A quell’epoca bannare qualcuno o concellare qualcuno dai forum era considerata una brutta azione. Eri tu a doverti vergognare perché non volevi confrontarti con le altre persone, adesso non è più così. È capitato anche a me, che sono molto tollerante, di farlo; ho già bannato dal mio profilo 20-30 persone, perché cercano assolutamente lo scontro, di essere visibili tramite i miei profili e quindi devo per forza intraprendere questa azione. Perché un conto è il dialogo, mi dici la tua opinione e se ne discute, ma con persone il cui unico obiettivo è attaccarti, il ban dev’esserci. È una pratica che 10 anni fa era considerata come un gesto di difesa esagerato e squalificante per chi lo faceva, oggi invece va utilizzato e io credo lo utilizzerò sempre di più, perché il dialogo va bene, se non c’è il dialogo e c’è altro dietro non vado ad indagare nella psicologia di un’altra persona, mi basta non vederlo più e che non veda più i miei contenuti”.

Alcuni stati hanno cercato di dare una risposta, per esempio in una proposta di legge tedesca di un paio di mesi fa venivano stabilite sanzioni economiche o penali per chi diffonde odio online o compie questo genere di pratiche. Può essere utile che ci sia un intervento dello stato in questo senso oppure no?
“Questi interventi hanno un più un fattore puramente estetico, che non un fattore pratico. È il classico detto di Mao: colpirne uno per educarne 100. Non credo serva, ci fai titoloni di giornali dicendo che hai colpito questo, alcuni ci pensano prima di far qualcosa, può essere utile in un primo momento ma, nella rete, quando la gente ragiona con la pancia e non con la testa, non sta a pensare a quello che fa. Pensa solo che ha uno smartphone in tasca con cui può scaricare la frustrazione di una brutta giornata sul primo che gli capita. Credo siano interventi palliativi che non siano realmente utili a sopprimere questo disagio. Un deterrente un po’ blando, serve di più dal punto di vista mediatico che non dal punto di vista pratico, secondo me è poco utile”.

Educazione innanzi tutto, ma di che educazione parliamo? impostata in che modo? Un’educazione scolastica che effettivamente educhi ai mezzi che stiamo usando o è più una questione di pratica? Più questi mezzi vengono utilizzati più diventa naturale che si creino determinate regole e modalità di utilizzo?
“Non so dove possa arrivare la scuola. Dovrebbe tentare, e sicuramente lo starà già facendo da anni, di far percepire i pericoli e l’opportunità della conversazione online. Credo che ci si arrivi attraverso una consapevolezza generale, è ovvio però che non succederà mai che il 100% della popolazione sia completamente consapevole e cosciente degli strumenti. Ci sarà sempre una nicchia di persone che, o perché non sono informate o perché non hanno la sensibilità giusta, non si adegueranno mai. Dovrebbero esserci però delle possibilità da parte degli strumenti di eseguire un rating di queste persone qua. Innnanzi tutto obbligare le persone a mostrare il loro nome e cognome vero e la loro faccia, in secondo luogo andrebbe anche trovato il modo di dare una valutazione. Non so se sarà possibile in futuro, magari con l’intelligenza artificiale, ma l’ideale sarebbe che tutto fosse tracciato e che anche le persone fisiche, online soprattutto, siano considerate per quello che dicono e per gli argomenti di cui trattano e sanno, e anche per i loro modi. Se qualcuno attacca spesso e volentieri, questa persona e il suo commento sarà molto meno in evidenza rispetto a qualcuno che invece ha argomenti , non ha mai generato discussioni o per cui nessuno si è mai risentito. Penso che si possa arrivare a questo, è un po’ utopico, però ci si può pensare”.