Una campagna elettorale fatta dai media

La campagna elettorale, che è già incominciata, fatta di odio, di veleni e di vuoto culturale e etico, è la peggiore di tutti gli anni della Repubblica. Una campagna elettorale tutta introversa, più per liquidare questioni interne agli schieramenti politici, detti anche con eufemismo “coalizioni”, che per affrontare le questioni urgenti del Paese. Si tratta, in realtà, di un disordinato accorrere ai blocchi di partenza in vista di una corsa, che tutti sanno non essere quella finale. Siamo, dunque, solo alle eliminatorie.

Mass media protagonisti

Perché, semplicemente, le coalizioni non ci sono. Nessuno ragionevolmente può prevedere, allo stato attuale dei rapporti di forza, la costituzione di un governo stabile. Lo scenario è quello di nuove elezioni, più o meno a breve, dopo quelle di marzo 2018. Queste decidono in quale corsia si parte e con quale vantaggio; quelle successive daranno, forse, un vincitore, sempre che si cambi, per l’ennesima volta, il sistema elettorale, visto che il Rosatellum non produce vincitori. Se così deve essere, si spiega la prima campagna elettorale, di cui i partiti non sono protagonisti, ma intendenza al traino dei mass-media e degli individual-media. C’è, ovviamente, un calcolo furbesco dei partiti: quello di raccogliere consenso a 360 gradi, da dovunque arrivi, su input diversi e contraddittori. I mass-media servono da collettori. E non importa quanto il fiume sia limaccioso. Ma i protagonisti sono i mass-media.

Che fanno due calcoli: uno politico e uno di mercato. Quello politico: i più importanti di loro rappresentano corporazioni e gruppi di potere economico-bancario e finanziario consolidati, con intensi legami con il sistema dei partiti. Il rischio fatale che hanno corso il 4 dicembre 2016 è stato quello della costituzione di un potere politico forte, in grado resistere alle pressioni delle corporazioni e di tagliare loro le unghie. Il blocco conservatore che ha vinto con il NO al referendum, intende, appunto, conservare la rendita di posizione acquisita lungo i decenni di non-governo, a qualsiasi costo. Spesso sono gli stessi che, a suo tempo, hanno combattuto Berlusconi con ogni mezzo, non perché poco liberale e poco morale, ma perché, a loro vista, troppo liberale. E che hanno combattuto a suo tempo Bettino Craxi, per gli stessi motivi. Gli stessi che hanno promosso campagne per la moralizzazione della vita pubblica e per abbattere “la casta” della politica, elevando in tal modo i giornalisti a giudici-casta inappellabili. In realtà, essi rappresentano l’Italia delle corporazioni, dei privilegi, della paura di cambiare.

Il calcolo di mercato

Fanno anche un calcolo di mercato, si intende: perché le vendite di Repubblica, Corriere, Stampa sono in pauroso calo. Tanto vale, allora, parlare/gridare alla “pancia del Paese”, nell’illusione di raccogliere lettori. Un’illusione: perché gli individual-media sono in grado di parlare immediatamente e più brutalmente alla suddetta pancia. Il loro punto di vista prevalente è quello del singolo individuo – uno vale uno – alle prese con contraddizioni e tensioni, che si vivono a livello individuale, ma che si possono affrontare solo dentro un destino collettivo, costruendo percorsi comuni e istituzioni per tutti, oltre le opzioni individuali. Non tutto il giornalismo, né quello su carta né quello su canali TV né quello della Rete ha toccato un tale livello di incanaglimento dello spirito pubblico.

Beninteso, e per non cadere nel pessimismo, si deve constatare che ci sono ancora forze intellettuali che continuano  a collocare il destino del Paese nel contesto europeo e mondiale e a mettere riflessivamente gli Italiani i dilemmi cruciali: avanti con l’Europa o ritiro nei confini nazionali; aumento del debito pubblico, soprattutto pensionistico, o sua diminuzione, a vantaggio delle generazioni più giovani; riformare radicalmente il sistema educativo nazionale o accontentarci di qualche colpo di cacciavite; continuare con un’istituzione-governo debole o costruire un’istituzione-governo stabile e perciò forte; integrazione di cittadinanza dei nuovi immigrati regolari o no… Ma queste forze sono minoranza. Che, tuttavia, rischiano la controdipendenza: perdere il proprio tempo e i loro spazi a controbattere sul terreno già scelto dagli altri. Viceversa, il Paese ha bisogno di una visione realistica del proprio futuro, di un bilancio severo e veritiero di ciò che si è conquistato e di una consapevolezza dei rischi e dei doveri che incombono su ciascuno.

In questi giorni, molti uomini di buona volontà sono spaventati e intimiditi da campagne d’opinione distruttive. Perciò e a maggior ragione, questo è il tempo del principio di realtà e di responsabilità, da praticare ostinatamente. Da sempre è quello dei “liberi e forti”.