E’ Natale per tutti, anche per chi non crede. Anna Maria Cànopi: “La gioia e la pace che Gesù viene a portare sono per ogni uomo”

Le luci sfavillanti delle vie addobbate per le imminenti feste natalizie e il crepuscolo silente che avvolge l’isola di San Giulio sul lago d’Orta in provincia di Novara. Tante voci provengono dai Mercatini di Natale mentre continua senza interruzioni il paziente lavoro di restauro di tessuti antichi (arredi, vesti sacre, arazzi) delle monache di clausura nel monastero “Mater Ecclesiae”, che si trova nella piccola isola, dove vive una comunità di benedettine seguaci della millenaria regola di san Benedetto: “Ora et labora”. “Prega e lavora”.

Nel 1973 a 42 anni Anna Maria Cànopi, figura esile ma volontà di ferro, che veniva dall’Abbazia di Viboldone, fondò nei locali dismessi di un seminario in rovina insieme con sei sorelle l’Abbazia Benedettina femminile di clausura “Mater Ecclesiae”. L’Abbadessa nata a Pecorara, in provincia di Piacenza nel 1931, prima di abbracciare la vita religiosa si era laureata in Lettere alla Cattolica con una tesi sul filosofo cristiano Severino Boezio. La religiosa è considerata la voce femminile più potente della Chiesa, dopo aver scritto nel 1993, prima donna a farlo, le meditazioni della Via Crucis lette da San Giovanni Paolo II la sera del Venerdì Santo.

Il monastero “Mater Ecclesiae”, impegnato su vari fronti, è aperto tutto l’anno tranne il mese di novembre per dare ospitalità a singoli o gruppi, siano essi sacerdoti, religiosi, o laici. Nell’abbazia si svolgono ricerche e studi su testi antichi e traduzioni, inoltre vengono elaborati scritti e pubblicazioni a sussidio della Lectio Divina.

“Altro Natale senza compassione dove Tu, Dio, vuoi nascere ancora per amare con cuore d’uomo. Vieni, non mancare, perché c’è sempre Lei ad aspettarti in mezzo a noi: la Povera, la Vergine, la Madre”. In questi pochi versi della poesia “Altro Natale” dell’Abbadessa Cànopi, è racchiuso l’autentico significato della Natività, festa più popolarmente sentita tra i cristiani, che la comunità femminile dell’Abbazia si appresta a celebrare. Appare evidente il contrasto tra il silenzio, il lavoro operoso, la meditazione e l’attesa della nascita di Gesù delle benedettine, con il chiasso, la confusione, il materialismo e la superficialità dei giorni precedenti le feste natalizie. «Nessuna festa suscita poesia e letizia quanto il Natale, pur essendo liturgicamente più importante la Pasqua. Tutto si esprime con il canto, con la poesia dell’infanzia, dell’innocenza e della bellezza, e soprattutto con lo stupore e la gratitudine per la nascita tra noi del Salvatore, di Colui che da lungo tempo era stato promesso e atteso. Nel tempo di Avvento noi accogliamo quest’annunzio di gioia, ma preghiamo anche portando nel cuore le moltitudini di profughi che in estrema povertà lasciano la loro patria, la loro casa e i loro cari, tutti quelli che soffrono a causa delle violenze e delle guerre che devastano tanta parte del mondo o che si trovano ad affrontare situazioni di lutto, di malattia, di solitudine. La pace e la gioia che Gesù viene a portare sono per ogni uomo, e noi sentiamo il bisogno di accoglierla e riversarla su tutti, specialmente su quelli che non riescono a vivere il Natale con fede e riceverne consolazione» chiarisce Anna Maria Cànopi, da noi intervistata, mistica, studiosa, scrittrice molto feconda di testi per catechesi e riviste di formazione religiosa e profonda erudita della letteratura dei padri della Chiesa.

Il Natale dovrebbe essere, per i cristiani e per tutti gli uomini di buona volontà, la festa in cui si celebra in ogni tempo e luogo, la nascita di Gesù e quindi un momento di grande gioia e di unità. Purtroppo il materialismo del mondo in cui viviamo ha trasformato il Natale in un rito pagano. Domandiamo alla Rev.ma Madre come riscoprire gli autentici valori di questa festa, che ci replica: «Vivere il Natale da cristiani significa ritrovare uno stile di vita semplice, umile, povero, che lasci spazio alla gratuità dell’amore e del servizio. Ciò comporta un serio impegno ascetico per non adeguarsi alla moda del Natale consumistico, per rinunziare al superfluo in favore di chi non ha il necessario, per non dare soltanto qualcosa, ma – sull’esempio di Gesù Cristo – farsi dono a tutti, senza misura. Occorre svegliarsi dal torpore dell’indifferenza e aprirsi ad accogliere il dono di Dio con fede schietta, con spirito di gratitudine, con stupore di gioia. Occorre assumere interiormente ed esteriormente lo stile di vita che fu proprio di Gesù, Figlio dell’Eterno Padre, nato uomo, in estrema povertà, dalla Vergine Maria».

In questo periodo dell’anno Madre Anna Maria, la quale ha collaborato fra l’altro all’edizione della Bibbia curata dalla Conferenza episcopale italiana, ritorna con il pensiero al Natale di quando era solo una bambina: «Nell’infanzia il Natale per noi era “la grande festa”. Da un anno all’altro il cuore vi si preparava caricandosi di desideri e di emozioni fino ad arrivare alla vigilia con il fiato sospeso. La mamma, con la sua fede semplice e la sua vena poetica, ci diceva che Dio facendosi bambino scendeva dal cielo, dalle stelle, per nascere in una povera capanna. Ci commuovevamo fino alle lacrime pensando a Maria e a Giuseppe stanchi e infreddoliti in viaggio verso Betlemme dove, al loro arrivo nella notte, nessuno li voleva ospitare… una storia di poveri che ci coinvolgeva come se fosse proprio stata di quel momento. Il fascino della Notte di Natale era tuttavia ben diverso da quello di una notte di fiaba. Ciò che accadeva nella Santa Notte era semplicemente la realtà più grande della vita, della nostra vita. Tutto era vero. Vero il fatto che nel momento in cui Gesù Bambino nasceva a Betlemme, dal cielo si precipitavano sulla terra schiere di angeli con gran fremito d’ali. Nella Notte Santa succedevano le cose più insolite e meravigliose: le stelle, ad esempio, sorridevano e si avvicinavano, come gli angeli, alla terra fino a sfiorare i tetti e le cime degli alberi; gli animali parlavano, l’acqua cantava e si illimpidiva. Tutte le creature, insomma, partecipavano con gioia alla venuta del loro Creatore. Ma tutto questo era ancora soltanto la cornice del grande evento. A fare la festa del Natale era proprio lui, il Bambino! In casa nostra non si faceva né albero, né presepe. Per me e per i miei fratellini c’era solo il Bambino della Chiesa parrocchiale che a mezzanotte veniva messo nel presepe e che al termine della Messa il parroco porgeva al bacio dei fedeli. Momento emozionante! Ci si credeva davvero e tutti ne eravamo “presi”, anche i grandi: lo si sentiva. Questi andavano pure alla balaustra per ricevere l’Eucaristia ma noi piccoli aspettavamo di poterci sollevare in punta di piedi – o di essere sollevati da qualcuno – per baciare i piedini di Gesù Bambino. I piedini nudi. Ecco su che cosa si polarizzava la mia attenzione. Quei piedini li sentivo vivi, infreddoliti… ne provavo insieme struggente tenerezza e pena, sapendo che un giorno sarebbero anche stati inchiodati alla croce. Perciò nel tornare a casa l’affondare i miei piedi nella neve e il sentirli pungere fino allo spasimo per il gelo, era un modo normale di provare quello che soffriva Gesù. Tale esperienza faceva parte della gioia natalizia, una gioia che sbocciava nel cuore dell’inverno ed era così povera da avere i piedini nudi…».

Vivere in un monastero in silenzio e in meditazione, seguendo alla lettera la regola benedettina “Ora et labora”. Quello delle benedettine è un silenzio che parla a un mondo pieno di rumore e guerre fratricide o pseudo religiose. «L’ambito della più vera e profonda carità e comunione non è quello delle facili comunicazioni ma quello del silenzio, dell’ascolto e della preghiera. La Parola di Dio che, ascoltata, si fa preghiera e vita, è la più efficace testimonianza che il cristiano può dare davanti a un mondo stordito dal rumore delle chiacchiere, angosciato dalla solitudine e sprezzante della stessa vita. Per questo il più grande contributo alla causa della pace e al rinnovamento della società è dato dagli umili, dai poveri, da chi soffre nel corpo e nello spirito in comunione con Cristo e con i martiri di ogni tempo. Forse proprio per questa consapevolezza i veri contemplativi – oserei dire in modo particolare le claustrali – anziché parlare e denunciare i mali del mondo, pregano. Essi recepiscono, attraverso le invisibili antenne del silenzio, tutto il dramma della storia umana, ne assumono le paure e le angosce per consumarle con Cristo sulla croce e trasformarle in speranza di nuova vita» spiega la Rev.da Madre.

Un luogo sospeso nel tempo, spesso avvolto dalla nebbia, l’isola di San Giulio, unica isola del lago d’Orta, che fa parte del comune di Orta San Giulio, scelta come location del film “La corrispondenza” di Giuseppe Tornatore. Un borgo ventoso e affascinante, all’interno del quale svetta l’abbazia “Mater Ecclesiae”, meta di pellegrini in cerca di meditazione in questa isola del silenzio. Non a caso sulla porta d’ingresso del monastero sta scritto: “Ricevi il pellegrino come se fosse Gesù Cristo in persona”. «Chi bussa al monastero trova un percorso di fede che vale anche per i non credenti. Solitamente essi vengono accompagnati da amici, ma a volte capitano anche per caso, magari solo per visitare l’isola. Entrano nella basilica e ci vedono celebrare, ci sentono cantare: ne restano impressionati. Tutti sostanzialmente sono affamati di verità e di trascendenza: oggi sono questi i poveri che bussano alla porta dei monasteri, spinti da un bisogno che non sanno nemmeno definire, in cerca di risposte ai loro confusi interrogativi. Sono loro i veri poveri del nostro tempo, i poveri di vita spirituale. Noi benedettini abbiamo il dovere dell’ospitalità: una volta questo significava particolarmente aprire le porte a chi mancava di cibo e di vestiti, oggi anche a chi non ha fede, non ha amore, non ha speranza. Il nostro intento è di far capire che ogni uomo ha un tesoro nel suo intimo, ha dei valori che deve scoprire e coltivare. Ciascuno ha qualcosa da dare agli altri e chi arriva a tendere la mano, a chiedere, a bussare, è già ricco, perché ha l’umiltà che lo dispone a ricevere. A queste persone vorremmo far sentire che tutti siamo poveri e abbiamo bisogno; tutti, consapevolmente o no, siamo i mendicanti di Dio, di Colui che è l’unica, vera ricchezza e può colmare di Sé la nostra umana indigenza» conclude Anna Maria Cànopi.