L’arte diventa merce, la merce è presentata come un’opera d’arte. Anche il cono è d’Autore

In piena era di estetica dei consumi la distinzione tra merce e arte non esiste più. L’arte è merce e la merce è arte. Consumare è bello e il bello si consuma. Non è da oggi certo (risparmiamoci ovvie citazioni). Ma adesso è diventato tutto così evidente e dichiarato che non è più nemmeno necessario leggere gli astrusi saggi di Baudrillard per capirlo. Basta frequentare gli scoppiettanti calendari della progettazione culturale o andare in un qualsiasi centro commerciale. Allora si vede a occhio nudo che le opere d’arte sono divenute merce del consumo culturale, via maestra per il consenso pubblico di cui tutti i componenti dei piani alti sociali (dai politici agli imprenditori, dai banchieri agli amministratori) sentono di avere bisogno. L’arte è divenuta viatico di prestigio sociale dentro la logica di un assestato e diffuso feticismo di massa. La lezione è di quelle che si imparano presto. Fra non molto si faranno mostre anche in farmacia e dal fruttivendolo. Sarà solo una questione di livelli. Ma la logica resta quella. L’arte è un veicolo pubblicitario, una fonte di consenso, una manifestazione di potere. Una merce da mobilitare. Perciò questa stessa logica, che ha inghiottito l’arte nei dinamismi fantasmatici del consumo, non poteva non elevare simmetricamente i prodotti del consumo a una loro nuova evidente sostanziale dignità estetica. Consumare è diventata un’arte. Vendere un’attitudine estetica. Gestire il prodotto una raffinata attitudine curatoriale. Qualsiasi vetrina di un medio livello è indiscernibile dall’allestimento di una qualsiasi galleria d’arte contemporanea. Pentole e abiti, scarpe e libri, vengono presentati alla clientela col sacrale sussiego di un pezzo d’arte nella sala di un museo. Per non parlare del cibo. I cuochi sono geni dell’arte, come Leonardo, Caravaggio e Rembrandt. I loro prodotti, frutti del loro talento unico e irripetibile. Il formaggio viene esposto come clou di un nuovo formalismo. E anche un cono oggi è d’Autore. Nelle réclame di una volta il desiderio veniva indotto sollecitando gli organi di salivazione del gusto. Nella pubblicità di oggi invece attraverso una seduzione più cerebrale che si attiva grazie a una vera e propria icona, ovattata e luminescente, in cui non si vede un gelato, ma la trasfigurazione di un gelato, autentico riflesso del suo prototipo autoriale. Il gelato, ultima frontiera del genio italiano.