Dall’America Latina e dalla Cina: quanti studenti stranieri a Bergamo. L’integrazione passa anche dalle aule dell’Università

Cresce anche all’Università di Bergamo la presenza di studenti stranieri: alcuni scelgono di spostarsi dalla riva sud del Mediterraneo, dall’America Latina, addirittura dalla Cina per seguire corsi specialistici, frequentando per esempio (ma non solo) i corsi di laurea di economia. Altri, una componente importante, sono i figli di migranti. “Spesso li chiamiamo “seconde generazioni” – sottolinea Paola Gandolfi, docente di “Migrazioni transnazionali e prospettive educative” e “Antropologia e politiche educative del Maghreb e del Medio Oriente” all’Università di Bergamo – ma non è un termine adeguato. In realtà dovremmo considerarli le nuove generazioni di italiani. Essi ormai in gran parte sono nati qui o arrivati qui da piccoli e molto spesso hanno frequentato tutto il sistema scolastico in Italia, dunque sono e si considerano italiani anche se i loro genitori sono stranieri”.

La presenza di giovani stranieri venti-trentenni a Bergamo è di circa il 25-30 per cento del totale. Quali prospettive hanno questi studenti e come si integrano nel contesto studentesco-universitario?
«Nel nostro contesto universitario gli studenti con altra cittadinanza sono un numero importante. Bisogna forse fare una differenza tra le diverse tipologie di giovani: quelli stranieri o piuttosto di origine straniera. I giovani stranieri sono coloro che sono nati e cresciuti in un altro paese e scelgono di venire a percorrere il percorso universitario in Italia, essi sono un numero in crescita nella nostra università e nei suoi diversi corsi di studi. Per esempio abbiamo una forte rilevanza di questi studenti inei corsi di laurea di economia, nella lauree magistrali interdipartimentali e in particolare con indirizzo internazionale. Si tratta di giovani che scelgono di svolgere il loro percorso di studi all’estro e in questo specifico in Italia e possono provenire dalla riva sud del Mediterraeno, dall’America Latina, dalla Cina, ecc. Inoltre vi è una componente importante di studenti figli di migranti oggi nel nostro sistema universitario e nello specifico a livello locale nell’università a Bergamo. Si tratta dei giovani che spesso chiamiamo “le seconde generazioni” di migranti (usando un termine non adeguato) e che in realtà dovremmo chiamare le nuove generazioni di italiani. Essi ormi in gran parte sono nati qui o arrivati qui da molto piccoli e molto spesso hanno frequentato tutto il sistema scolastico in Italia, dunque sono e si considerano italiani anche se i loro gentiori sono stranieri. E’ inevitabile che frequentino le nostre scuole e per coloro che continuano il percorso scolastico superiore, le nostre università».

Le comunità straniere spesso tendono ad essere “chiuse” e a sviluppare una vita autonoma, anche per tenere vive le proprie radici. Come si comportano i giovani e su quali piano si svolge principalmente il processo di integrazione? Quali sono i “terreni d’incontro” più frequentati tra i giovani italiani e stranieri?
«Le comunità costituite dalle prime generazioni di migranti in realtà hanno modalità diverse di vivere e di relazionarsi con il territorio e le comunità locali. Alcune sviluppano una vita specifica, ma altre hanno una lunga tradizione di presenza e di attività e talora di collaborazione con associazioni e enti locali.
Per quanto riguarda i giovani figli di migranti il primo luogo di contatto e di interazione coi loro pari è la scuola. Hanno frequantato il sistema scolastico obbligatorio e alcuni di loro anche quello successivo. Anche per questo dovremmo allenarci a non chiamarli giovani stranieri in contrapposizione a giovani italiani. Sono italiani, sono le nuove generazioni di italiani; hanno origini straniere, ma non sono loro ad avere migrato, sono i loro genitori. Vivono in un contesto famigliare di lingua e cultura diversa, talora anche di religione diversa da quelle maggioritarie nella società in cui vivono, ma sono parte integrante di questa nostra società. Alcuni dei luoghi che funzionano, oltre alla scuola, da terreno d’incontro e di socializzazione – come spesso ci raccontano le ricerche in questo ambito e le intervista in profondità o la raccolta delle storie di vita di questi giovani – sono spesso i centri di aggregazione giovanile, talora le associazioni locali, le associazioni sportive. Nei contesti soprattutto locali di provincia, ma non solo, anche gli oratori talora svolgono da luoghi importanti di incontro e di erogazione di servizi ( quali doposcuola, centri ricreativi estivi, ecc. ) che risultano essere fondamentali anche per coloro che non fanno parte della comunità religiosa ma che appartengono alla medesima comunità locale. È molto importante ricordare che le testimonianze di molti giovani figli di migranti che hanno frequentato l’unviersità ci raccontano di questa esperienza formativa come uno snodo fondamentale nella loro crescita personale e di gruppo. Spesso è proprio nell’università – anche in ragione della loro età più matura in cui frequentano questo luogo – che gli studenti ridanno un senso alle loro molteplici appartenenze, osservano altrimenti il loro vissuto e il loro essere al contempo parte della comunità di origine dei loro gentiori e alla società italiana in cui sono cresciuti e di cui si sentono parte. Il percorso universitario – non necessariamente essa stessa come istituzione e ma come momento formativo nella loro vita- è per alcuni di loro luogo di incontro di altri giovani di origine straniera, di giovani italiani, di altre diversità e occasione di riflessione attraverso cui dare significato ad una serie di domande e dubbi sino a pochi anni prima vissuti a livello individuale. Talora anche esperienze all’estero, esperienze di tirocinio ed esperienze associative molteplici contribuiscono in questa fase di formazione ad una presa di consapevolezza nuova del loro specifico vissuto».

Qual è il rapporto di questi giovani adottati o immigrati di seconda generazione con la propria cultura di origine? E’ armonico o conflittuale, e quali sono gli aspetti più complessi da gestire per loro?
«I giovani figli di migranti hanno diverse modalità di relazionarsi e di viversi il rapporto con le proprie origini. Anche qui i loro vissuti ci raccontano di una realtà molto più complessa e talora più contraddittoria di quanto ci immaginiamo. Spesso nella loro realtà esiste una compresenza di appartenenze e i giovani nel loro quotidiano si inventano continuamente delle modalità per poterle articolare e farle convivere. Tanto più la loro esperienza è ricca di situazioni, relazioni, risorse, competenze, attitudini e tanto più riescono a svolgere in modo originale e creativo queste delicato e continuo tentativo di articolazione tra cultura di origine e cultura della società italiana, tra valori della famiglia e della comunità di origine e tra valori appresi a scuola e in altri luoghi di costruzione della propria identità. Questa articolazione complessa tra molteplici appartenenze rimane comunque un percorso complesso e continuamente da ricreare e attualizzare, ma proprio in questo processo di negoziazione tra contesto sociale e scolastico e contesto famigliare risulta anche la loro specificità e quella che per alcuni può diventare una risorsa. Una delle prime lotte che una parte importante dei figli di migranti sta portando avanti è quella per il riconoscimento ufficiale della loro cittadinanza. In Italia come si sa non abbiamo ancora una legge che riconosca un cittadino nato (o arrivato molto piccolo) da genitori stranieri e residente e scolarizzato in Italia come cittadino italiano. Non solo, esistono poi dei gruppi associativi molto attivi a livello nazionale e locale, che si battono per il riconoscimento effettivo – giuridico- della cittadinanza pur nel rispetto della loro specifica appartenenza di origine. E’ il caso per esempio dei giovani musulmani italiani che rivendicano da tempo il loro essere italiani, di fede islamica. Una componente su cui tornare a riflettere è cosa si sentono e come vivono in prima persona nel quotidiiano i giovani. Osservando in profondità troviamo una modalità complessa e spesso faticosa ma talora anche creativa, innovativa, di vivere una pluralità di appartenenze, che spesso si gioca a livello associativo locale, nazionale e trasnazionale. Per cui al di là del riconocimento effettivo della cittadinanza, alcuni giovani mettono in atto pratiche di “cittadinanza attiva”, mostrando una volontà di essere parte della vita sociale e politica, attori delle scelte relative a questa nostra società. Probabilmente tutto ciò va osservato e preso in considerazione seriamente anche da parte delle istituzioni, al fine di creare un dialogo con queste nuove generazioni di italiani e costruire un sistema giuridico adeguato ad una società plurale. La legge che prevede la cittadinanza per queste nuove generazioni, purtroppo ancora una volta non passata e non scelta proprio ieri, sarebbe stata una scelta di civiltà al passo con le dinamiiche di cambiamento in atto e risulta essere una mancanza grave per la nostra società».

In che cosa si differenzia il percorso dei giovani stranieri e italiani per l’ingresso nel mondo professionale? Sotto quali aspetti è invece simile?
«I giovani figli di migranti spesso svolgono degli studi professionalizzanti per una serie di motivi, tra cui spesso quello delle condizioni economicihe della famiglie.ma talora anche in ragione di una sorta di sterotipizzazione dei loro percorsi possibili. Alcuni di loro, in un numero sempre crescente, invece svolgono il percorso universitario. Nel momento in cui entrano nel mondo professionale spesso si ritrovano in un contesto lavorativo in cui ancora devono dimostrare doppiamente di valere, come individui e come giovani figli di migranti. Non solo, nel momento in cui entrano nel mondo professionale spesso vivono delle discriminazioni proprio in ragione delle loro origini, della loro religione, del colore della loro pelle o altro ancora. In questo senso, la nostra società si deve fornire di strumenti e modalità che garantiscano dignità alle molte diversità che la costituiscono».

Quali sono le sfide e le strade da percorrere per migliorare la situazione di integrazione per il futuro?
«Bisognerebbe investire a tutti gli effetti nei contesti scolastici e nei contesti educativi come luoghi di incontro, di gestione del conflitto, di inclusione della diversità., di lotta alle discriminazioni. Si dovrebbe tendere inoltre conosocere sempre più i vissuti, le storie di vita, le aspirazioni e le rivendicazioni dei giovani figli di migranti, in modo tale da non agire se non a partire da una conoscenzza della loro realtà di vita quotdiiana e da una presa in conto seria e rispettosa della stessa, in tutta la sua molteplicità. Si potrebbe ascoltare e investire in quelle dinamiche associative che già agisono a livello nazionale e territoriale in modo da favorire un dialogo tra enti, insituzioni, associazioni. In questo senso bisognerebbe creare luoghi di incontro e di ascolto di questi giovani da parte degli enti e le isituzioni.
Bisognerebbe riconoscere il ruolo importante e di luoghi come i centri di aggregazione, oratori, centri di educazione alle arti e agli sport, ecc., come luoghi essenziali di sperimentazione di convivenze. Infine, una questione come quella delle lotte civili comuni di giovani figli di migranti e cittadini italiani è un terreno di sfida sociale e politica fondamentale. Probabilmente bisognerebbe anche partire dalla consapevolezza che i figli di migranti nati e vissuti qui sono molti ed esistono come realtà da molto tempo e fino a che continueremo a parlarne come una realtà nuova staremo dimostrando di essere indietro rispetto alla dinamica sociale e culturale della nostra società. In questo momento storico, inoltre, assistiamo ad essenzializzazioni e discriminazioni davanti alle quali il futuro della nostra società è incerto e pericoloso. Sarebbe opportuno investire nella presenza e nel contributo attivo di questa parte della società che sperimenta sulla loro propria pelle ogni giorno i rischi delle attuali derive. Non solo, credo profondamente che le modalità di creare e ricreare, negoziare e reinventare le loro molteplici appartenenze, da parte dei figli di migranti in Italia oggi, sia uno dei terreni più fertili su cui si sta giocando quotidianamente la possibilità di costruire una società plurale e consapevole. Questi giovani, nel momento in cui entrano o entreranno nel mondo del lavoro, della ricerca, della società civile porteranno uno sguardo altro, significativo e ormai imprescindiibile. Si tratta di una risorsa preziosa con cui vale la pena ed è urgente seriamente dialogare ed agire».