Verso le elezioni. La strana guerra della campagna elettorale

Tra il 3 settembre del 1939 e il 10 maggio del 1940 sul fronte franco-tedesco si combatté una strana guerra: “la drôle de guerre” la definirono i giornali francesi; “komischer Krieg”, scrissero quelli tedeschi. Il fronte era immobile. E tale pare essere la campagna elettorale appena incominciata nel nostro Paese. Alcune forze politiche la prendono sul serio, altre si sottraggono, altre gettano fumogeni multicolori su trincee di cartapesta. Il risultato è decisamente straniante per gli elettori. Poiché i programmi dei singoli partiti arrivano agli elettori sempre filtrati dai mass-media e dalla comunicazione avversa dei partiti avversari/concorrenti, l’elettore è tentato di sottrarsi alla babele, rifugiandosi nell’astensione. Che infatti nei sondaggi è dato in crescita o, alla meno peggio, non scalfibile.

Le poste in gioco dimenticate e le mancate riforme

Eppure le poste in gioco sono maledettamente serie. Se ne possono indicare almeno quattro: la collocazione e il ruolo del Paese rispetto all’Europa; il futuro del debito pubblico: abbassarlo o farlo salire “momentaneamente?”;  il destino dei giovani; l’immigrazione. Va detto, a discolpa solo parziale degli elettori, che il tono “comico” della campagna elettorale è, in prima istanza, l’effetto di scelte sistemiche, generate dall’incultura e dall’irresponsabilità di una parte delle forze politiche. Discolpa parziale, comunque: perché la prevalenza netta del NO il 4 dicembre 2016 la si deve agli elettori stessi, che hanno respinto un modello di sistema politico bipolare e un sistema elettorale, dentro il quale la competizione tra partiti-nazione poteva svilupparsi attorno a programmi di governo reciprocamente alternativi. Ciò costringeva a presentare programmi realistici per governare, non solo per farsi notare.

Nel nuovo sistema elettorale, a dominante proporzionale, il vincolo di realtà dei programmi è potenzialmente saltato. Dipende, il livello di realismo, dalla cultura politica dei gruppi dirigenti, se mai ce l’hanno, ma non è più un vincolo di sistema. L’obbiettivo non è più quello del governo, ma semplicemente quello di “non perdere” al gioco della rappresentanza. Tutti rappresentanti, nessuno governante. Il “Rosatellum” è stato la presa d’atto passiva e rassegnata di questa nuova condizione: un sistema politico a struttura quadripolare, in cui prevalgono il panico di ciascuno dei quattro di essere tagliato fuori dal governo di domani e l’horror vacui dello stare all’opposizione. È mancato l’investimento coraggioso sul dopo-domani. Ha vinto la viltà dell’orizzonte presente.

PD, Forza Italia, Lega, M5S

Poteva il PD, essendo stato il promotore del SI al referendum, puntare ostinatamente sul bipolarismo e sottrarsi alla spirale proporzionalistica dell’ingovernabilità e perciò all’approvazione del Rosatellum? Certo che sì. Glielo ha impedito la prevalenza al suo interno delle culture politiche, che rilevano della Prima repubblica. Per quelle culture, comunista e democristiana, la collocazione internazionale dell’Italia era già garantita a priori da uno stabile quadro internazionale. L’Italia non aveva un ruolo europeo e internazionale, governare significava solo amministrare un litigioso condominio. Non-governo e sistema proporzionale sono le facce della stessa medaglia. E Forza Italia? Propostasi come alternativa radicale, grazie al sistema bipolare, ha diluito progressivamente il proprio messaggio liberale alternativo, non ha mantenuto nessuna promessa, non ha fatto nessuna riforma e, pertanto, il berlusconismo ha esaurito la sua carica propulsiva, già nella legislatura dal 2001 al 2006. Con ciò ha abbandonato il bipolarismo come se fosse buono solo quando si ha la certezza di vincere. Soltanto Salvini è rimasto fedele al bipolarismo, sia perché la sua cultura politica è radicalmente alternativa a quella di ogni altro partito sia perché ha abbandonato la ridotta padana per proiettarsi su scala nazionale e internazionale sia perché ha sperato e spera di diventare leader dell’intero polo di centro-destra.

Quanto al M5S, non ha futuro, né se va al governo né se sarà costretto all’opposizione. In un quadro bipolare, aveva prospettive di governo, ma ha respinto quello scenario con il NO nel referendum del 2016. In un quadro proporzionale, anche nell’ipotesi di un incarico di governo, non potrà farlo che in coalizione: con tutti? solo con qualcuno?  Questa collocazione è destinata a scuotere fortemente il rapporto con il suo instabile elettorato.

Così, alla fine, passate le elezioni, le quattro forze politiche principali si troveranno di fronte immediatamente ad un secondo tempo di una troppo lunga partita. Nonostante gli appelli di Mattarella, di Gentiloni, della Conferenza episcopale italiana e, in Lombardia, di quella lombarda, lo stato di cose presente non favorisce la presa sul serio della scadenza elettorale da parte degli elettori, perché le forze politiche hanno approvato un sistema elettorale, che prevede sempre un altro tempo successivo. Come meravigliarsi, allora, che la campagna elettorale di quasi tutti i partiti racconti il falso, faccia promesse da marinaio, venda almanacchi, che prevedono tre Natali all’anno, come promette l’indimenticabile canzone di  Lucio Dalla?