Olimpiadi. Sofia Goggia, ragazza d’oro: dalla fragilità la forza per una vittoria splendente

Ci sono persone che nelle difficoltà emergono, che sotto pressione danno il meglio, che devono cadere, perdere, essere sconfitte, per risalire e tornare a vincere. Ci sono persone che spesso fingono di morire per chiudersi in sé stesse, ritrovarsi, lasciarsi abbandonare dal mondo e dai professionisti di “salita sul carro dei vincitori” per poi tornare ai vertici, più solide, consapevoli, soddisfatte, circondate dal peso delle persone che ci sono sempre state.
Succede nella vita, succede nello sport con atleti che ad ogni grande competizione compiono questo processo spirituale-agonistico complesso, arduo, rischioso, ma spesso vincente. Non tutti possono permetterselo, non tutti sanno riconoscere le proprie fragilità e puntare – allo stesso tempo – sulle proprie doti, che anche quelle vanno riconosciute e misurate. Possiamo chiamarli campioni in una parola sola, ma forse sarebbe riduttivo o nemmeno così corretto. Gli atleti che si comportano e vincono così hanno un’aura attorno al proprio fisico scolpito più romantica, più eroica, più maledetta, più passionale, emozionale. Probabilmente questi atleti sono lo sport.
Sofia Goggia fa parte sicuramente di questa ristretta cerchia di atleti, lo sapevamo già, ma serviva una sua competizione manifesto perché potessimo certificare il suo ingresso in questo regno. E il manifesto è arrivato, nella notte italiana a cavallo tra martedì 20 e mercoledì 21 febbraio 2018 quando la sciatrice bergamasca è scesa dalla collina olimpica di PyeongChang su due assi chiamati sci più veloce di tutte le altre. È stata solida, coraggiosa, umana, razionale, istintiva, e ha vinto. La sua vittoria, giunta per 9 centesimi sulla norvegese Mowinckel è una vittoria speciale perché la “Goggiona” (come simpaticamente si fa chiamare) è riuscita a mettersi dietro la più grande di sempre: Lindsay Vonn, terza al traguardo. Il manifesto sportivo di Sofia Goggia sta nei deludenti risultati ottenuti in gigante e in super-G, nella capacità di sorridere alle polemiche che già le piovevano addosso, nell’abilità al tenere testa al duello psicologico della vigilia con la Vonn, nel chiudersi in sé stessa, parlarsi e ritrovare la migliore condizione psico-fisica. Ma il manifesto di Sofia è anche nella gara vinta, perché è partita piano, contratta, timorosa, pensierosa, ma in un attimo ha fatto “clic” e si è sciolta, facendo la differenza nella seconda parte di gara.
Sofia Goggia ci ha ricordato Federica Pellegrini, altra esponente di quella tipologia di atlete che devono (e sanno) cadere per poi vincere di più. L’ avevamo raccontata nelle storie olimpiche di Rio 2016 la favola un po’ maledetta di Federica e ora ci ritroviamo qui con un altro esempio dorato tra le mani. Sofia e Federica, cocciute, brave, vere, capaci di unire e dividere, un po’ personaggi e un po’ (un po’ tanto) donne simbolo. Simbolo della fetta femminile di questa Italia che senza troppi proclami, proteste, comparsate, sparate e denunce marcia alla velocità della luce per portarsi dietro – si spera – generazioni sempre più simili a loro. Perché sono spinte da principi sani, belli, puri, esemplari. E vincenti.

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