Testimoni stanchi della trasfigurazione

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù (Vedi Vangelo di Marco 9, 2-10).

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La quaresima è preparazione al mistero della pasqua. Dopo la scena inquietante di Gesù tentato dal diavolo, dopo ceneri e digiuno, ecco esplodere una straordinaria anticipazione della pasqua: la trasfigurazione. Dopo la segregazione del deserto, arriva l’inattesa compagnia “celeste”, sul monte.

Gesù, essere “celeste”

Gesù, infatti, davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni, diventa un essere celeste come Mosè ed Elia. Diventa adesso ciò che sarà dopo, con la Risurrezione. Mosè, il legislatore per eccellenza ed Elia, il profeta che deve tornare (così pensa la gente), testimoniano per Gesù, dicono che davvero lui è come loro, appartiene al mondo di Dio. E altri segni confermano: una nube, come quella che accompagnava Israele durante la traversata del deserto, poi la voce che viene dall’alto, che proclama solennemente l’identità divina del Figlio e invita ad ascoltarlo.

Di fronte a quello splendore Pietro vorrebbe costruire tre capanne, fermarsi lì e lasciarsi estasiare dalla luce. Ma la luce arriverà solo alla fine, dopo la notte del venerdì santo. Gesù scende dal monte e ordina ai tre discepoli di non raccontare a nessuno quello che hanno visto.

Il rischio di dimenticare la luce

Proviamo a fare mente locale. Pietro, Giacomo e Giovanni hanno visto il cielo. E Gesù era in cielo, insieme con Mosè ed Elia. Adesso scendono dal monte portando nel cuore e negli occhi il ricordo di quella luce. Ma non possono parlarne: non sarebbero creduti o sarebbero fraintesi.

Possiamo ripensare per noi la situazione di Pietro, Giacomo e Giovanni in due modi.

Il primo. Come per Abramo invitato a sacrificare il figlio, come i tre discepoli che non vedono più la luce del monte, la fede è un attraversamento della notte. Non è assenza della notte, ma un passarci in mezzo, sapendo di poterla attraversare perché, alla fine, arriverà il sole.

Il secondo. Siamo come i tre discepoli dopo che sono scesi dal monte. Sappiamo della luce e della voce che piove dal cielo. Ma veniamo fraintesi e il racconto di quella luce è preso per un nostro inspiegabile abbaglio. Oppure noi stessi abbiamo dimenticato. Il riflesso della luce si è spento e non riusciamo più a trasmettere la bellezza di quello che abbiamo visto. Siamo diventati i testimoni stanchi della trasfigurazione.