La solitudine nell’era dei social media è una piaga sociale. Salvatore Natoli: «Stanno sparendo i legami di comunità»

“Beata solitudo, sola beatitudo” sosteneva nell’Anno Mille l’abate e teologo francese San Bernardo di Chiaravalle, fondatore dell’ordine cistercense. Nel Terzo Millennio dominato dai social media, affollati di “amici”, la solitudine è diventata una tale “piaga sociale” da indurre la Premier britannica Theresa May a prendere l’iniziativa di istituire un Ministero della Solitudine.

La nuova posizione nell’esecutivo britannico è stata occupata da Tracey Crouch, 42 anni, deputata conservatrice, già ministra per lo Sport e la Società civile, ma la proposta era partita da Jo Cox, la deputata laburista uccisa nel 2016 da un fanatico di estrema destra, la quale aveva condotto una lotta di sensibilizzazione sul problema. Infatti, la deputata scomparsa aveva creato la “Commissione contro la Solitudine”. Un Report della Commissione elaborato lo scorso anno, ha delineato un quadro preoccupante: nel Regno Unito 9 milioni di persone vivono “in forte stato di isolamento”, 2 milioni abitano sole, 200 mila, per lo più anziani, passano settimane senza vedere nessuno. Inoltre, per la prima volta da quando esiste il censimento nel Regno Unito, i single hanno superato gli sposati.

Anche in Italia la situazione è simile a quella oltre il Canale della Manica. Per il Rapporto Istat 2017, i single sono ormai un terzo del totale dei nuclei familiari a fronte di una popolazione che diventa sempre più vecchia, causa la nascita di sempre meno bambini.

Il filosofo Salvatore Natoli, nato a Patti il 18 settembre 1942, ordinario di filosofia teoretica presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, da noi intervistato, spiega per quale motivo la solitudine sia diventata “una triste realtà della vita moderna per troppe persone”: «È venuta meno la comunità. I legami comunitari sono venuti meno, come la famiglia intesa in senso classico, cioè mononucleare. Il nucleo non è più stabile, spesso si frantuma e quindi si moltiplicano le solitudini. Si aggiunga inoltre, pensiamo all’Italia, una caduta della natalità, i sopravvenuti sono in numero ridotto rispetto ai sopravvissuti. L’idea dell’autosufficienza ha fatto sempre sentire il legame come una prigionia, ma alla fine l’assenza di legami lascia soli e questo è un grande problema sociale. Pensiamo agli anziani, che sono proprio quelli che più si trovano in questa condizione, in parte anche per colpa loro. Molti di loro non hanno generato figli, non hanno continuato legami, hanno creduto finché stavano bene di essere all’altezza della situazione e poi a un certo momento si sono trovati come unica compagnia la solitudine. Ecco perché nella nostra società attuale le solitudini sono tante. Bisognerebbe ritessere un sentimento comunitario».

Tracey Crouch ha parlato di “sfida generazionale”, perché la solitudine non discrimina nessuno, colpisce sia i giovani e sia gli anziani. Nel nostro Paese il 13% delle persone non sa chiedere aiuto, 12% gli italiani che non hanno con chi parlare di questioni personali, 31,6% le famiglie composte di una sola persona e 8,5 milioni gli italiani che vivono soli. Secondo Lei, il nostro futuro governo dovrà istituire un ministero della Solitudine a modello di quello britannico?

«L’istituzione di un ministero della Solitudine non rappresenta la soluzione del problema, può essere forse un’opportunità ma la solitudine non è solo una questione di assistenza o di sostegno. La solitudine suppone una relazione costante di intimità, un riferimento all’altro, una possibilità di fare assegnamento su qualcuno sulla base dell’affetto e non della prestazione. È chiaro che tutte le soluzioni sociali che possono essere approntate devono sempre essere apprezzate ed è giusto che ci siano, ma non risolvono il problema. Occorre sviluppare legami sociali orizzontali in cui ci si sente responsabili della vita degli altri. I giovani sono soli, perché non sono capaci di relazione però sono nella condizione di gestirsi questa solitudine, i nodi vengono al pettine quando la solitudine non si riesce a gestire, quando questa idea di autosufficienza e di separatezza si scontra con la realtà e si scopre che l’uomo o è animale sociale o finisce per diventare una povera bestia abbandonata».

Nella sua rubrica quotidiana “Il Caffè” pubblicata sul “Corriere della Sera”, Massimo Gramellini scrive che la solitudine “prima era una condizione esistenziale di cui menare vanto: sgravato dal peso delle relazioni collettive, il single poteva concentrarsi sul lavoro e sul soddisfacimento dei piaceri personali. Adesso è una condizione esistenziale che provoca sofferenza e ha bisogno di essere alleviata”. Che cosa è cambiato?

«La caratteristica delle relazioni comunitarie è che per un verso si sostengono, nell’altro vincolano, alcune volte in modo eccessivo. La modernità in fondo è l’uscita da una società obbligante fatta di doveri, riti, atti, di far cose che costringono la propria personalità. Questa è anche la società della costrizione. Guadagnare un’autonomia per se stessi è stato un vantaggio per il soggetto moderno che ha scoperto la libertà. Il soggetto per molti versi può non tenere conto dell’opinione pubblica, trovare una propria vita libera e consapevole, però quello che possiamo chiamare “processo di emancipazione” oggi invece ha come suo esito l’abbandono. La presunzione di una libertà incondizionata produce solitudine, L’accettazione di una libertà che è sempre sotto condizione permette agli uomini un rapporto realistico, di vedere nell’altro non un impedimento ma una corrispondenza».

Vale ancora la differenza tra la solitudine positiva e quella distruttiva?

«Sì. La solitudine positiva è una solitudine intesa come raccoglimento, come un fare i conti con se stessi. Una solitudine sapiente, sottrarsi dall’esteriorità, trovare momenti di autoriflessione e di silenzio, non seguire le mode. Una solitudine come sottrazione dal rumore che può diventare un momento di grande formazione».

Tracey Crouch ha spiegato che lavorerà con la collaborazione di imprese, associazioni di beneficenza e istituiti di statistica per sviluppare una strategia contro l’isolamento sociale e creare un indicatore allo scopo di misurare la solitudine delle persone. La ministra riuscirà nella sua gravosa impresa?

«Il ministero della Solitudine è un settore del Welfare, della politica di assistenza, i conservatori si sono accorti che con la loro politica di austerity sono venute fuori queste controindicazioni, cioè sono aumentate le persone infelici e isolate. La società deve farsi carico di tutto ciò».