I greci, la loro sapienza di fronte al chicco di grano che muore

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: “Signore, vogliamo vedere Gesù” (vedi Vangelo di Giovanni 12, 20-33).

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I greci e il greco

Ai tempi di Gesù – anche ai tempi di Gesù – quella che noi chiamiamo oggi la Terra Santa, era uno snodo geografico cruciale, dove si incontrava gente che veniva da Est verso il Mediterraneo, gente che da Sud era in viaggio verso nord e viceversa. In quella cruciale fetta di terra si usava, per intendersi tra persone di diversa provenienza, la lingua internazionale di allora, il greco (ed è stata coraggiosamente coerente con questa situazione la scelta dei primi scrittori del Nuovo Testamento di usare non la loro lingua materna, ma la lingua internazionale: le lettere di Paolo e i vangeli sono scritti in greco). Questo avveniva al nord, in Galilea, dove passavano soprattutto le carovane che venivano dalla Mesopotamia (a Cafarnao c’era una dogana) e avveniva, ovviamente, a Gerusalemme dove convenivano molti pellegrini che arrivavano da tutto il bacino del Mediterraneo.

Oggi, da noi, si scelgono talvolta dei nomi stranieri – inglesi, per esempio – da imporre ai propri figli. Anche allora alcuni ebrei chiamavano i loro figli con l’inglese di allora, il greco. Filippo e Andrea, due dei discepoli di Gesù, hanno nomi di origine greca. Filippo significa “colui che ama i cavalli” e Andrea ha a che fare con anḗr (genitivo andrós) che significa “uomo, maschio”.

Ora, mentre Gesù si trova a Gerusalemme, alcuni greci vogliono vedere Gesù e si rivolgono ai due discepoli che hanno un nome greco e che, forse, parlavano il greco.

Gesù, chicco di grano che muore per dare frutto

Gesù vede in questi stranieri che si rivolgono a lui un segno dell’arrivo della sua ora decisiva e conclusiva, quella della morte e della risurrezione. Egli, Gesù, è come il chicco di grano che produce frutto solo se muore.  È la legge tipica del Vangelo: la salvezza è dono di sé, offerta della vita… Questo vale per lui, ma vale anche per i discepoli. Anche per loro, amare la vita significa perderla: l’uomo che si chiude su di sé perde tutto, infatti. È come chi abbraccia troppo forte una persona che ama: la uccide. L’uomo che, invece, è capace di abbandonarsi totalmente al Signore,  “guadagna” la vita, la vita senza fine, la vita vera, quella con il Signore.

Questo solenne annuncio da parte di Gesù viene in qualche modo convalidato da una voce che viene dall’alto. “Venne allora una voce dal cielo:  ‘L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!’” . Giovanni non ha parlato, prima, della trasfigurazione. Ne parla, in qualche modo, adesso.

La nostra sconfinata cultura e le domande senza risposta

Paolo, nella prima lettera ai Corinzi (cfr 1, 22 e seguenti) definisce quella che noi chiameremmo l’identità del discepolo di Gesù, in rapporto alle grandi culture di allora: la cultura ebraica e quella greca. Ora, dice Paolo, “i Giudei chiedono segni”: è la religione della forza. I Greci, da parte loro, “cercano sapienza”. La loro sapienza è frutto di una ricerca, di una indagine che nasce dalla libertà e dall’intelligenza dell’uomo. “Noi invece annunciamo Cristo crocifisso”, dice Paolo. Il “cercare” della cultura greca è diventato l’”annunciare” del messaggio cristiano: non  qualcosa che nasce dall’uomo, ma qualcosa che viene da un “altrove”, dall’”alto” e che lui, Paolo, annuncia.

Ecco il fascino della scena evangelica: rappresentanti della cultura allora più raffinata, si rivolgono ad Andrea e Filippo, usano la loro lingua per arrivare a qualcosa che la loro cultura non è in grado di offrire. Alla loro ricerca si sostituisce l’annuncio.

Abbiamo una cultura infinitamente più raffinata di quella di Andrea e Filippo e anche di quella dei greci che si rivolgono a loro. Ma resta intatto, oggi diventato forse ancora più acuto, il desiderio di una parola che annunci l’iniziativa “graziosa” di Dio, che nessuna costruzione umana riesce a dare. Il chicco di grano viene dal cielo e muore nella nostra terra.