Memoria di Ferdi Giavarini. Che ora sta cominciando veramente a salire

Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso.
Oggi Ferdi è partito per un nuovo viaggio.

Cosi un post su Facebook ha annunciato la morte di Ferdi Giavarini, una delle figure storiche del mondo cooperativo bergamasco. Obiettore di coscienza, pacifista convinto, educatore professionale, da sempre legato alla cooperativa “Il Pugno aperto”, Ferdi è stato un paziente tessitore di legami, un uomo appassionato, mite, lieve e tenace. Un costruttore di ponti, dai grandi orizzonti sempre mediati nell’impegno e nella cura del quotidiano. Un credente curioso e libero – “saggiamente impertinente” – che sognava una chiesa aderente al Vangelo.

Quando capitava di pranzare insieme, era uno spettacolo: Ferdi riordinava il mondo con sguardi divergenti e, insieme, curava il dettaglio di una storia, di un volto. E spesso, dopo che ci eravamo lasciati, mi sovveniva di pensare al racconto di Italo Calvino nelle Città invisibili. Là dove Marco Polo descrive un ponte pietra su pietra a Kublai Khan. Ma qual è la pietra che sostiene il ponte?, chiede Kublai Kan. Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, risponde Marco, ma dalla linea dell’arco che esse formano. Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che m’importa. Polo risponde: Senza pietre non c’è arco. Ecco, Ferdi era uno che curava le pietre e, insieme, aveva l’idea dell’arco.

Da alcuni giorni Ferdi, sposo di Irene e padre di Lorenzo e di Francesco, era all’Hospice. Noi amici, eravamo abituati ai suoi messaggi via whatsapp, a quelli che chiamava, con l’ironia e la leggerezza che mai gli sono mancati, gli “oncoaggiornamenti”. Che raccontavano, con delicatezza, la fatica ma anche la tenacia nel voler rimanere umano anche dentro la prova di un tumore devastante. Che terminavano sempre con un grazie ripetuto che metteva un groppo in gola quando lo si leggeva. Nel messaggio del 9 gennaio, con in mano gli esiti nefasti della TAC, Ferdi richiamava un testo di padre Turoldo che, scriveva, “descrive bene, come non riuscirei con parole mie, buona parte del mio stato d’animo”.

Io non prego Dio perché intervenga. Chiedo la forza di capire, di accettare, di sperare. (…) Egli non può e non deve intervenire. Diversamente, se potendo non intervenisse, sarebbe un Dio che si diverte davanti a troppe sofferenze incredibili e inammissibili. Ecco perché il dramma della malattia, della sofferenza e della morte è anche il dramma di Dio.

Ferdi subito dopo proseguiva. “Facendola brevissima, e quindi parlando duro, le parole sono due: GAME OVER. Il fegato è quasi completamente metastizzato (si dice così?) e i gonfiori che mi perseguitano da un paio di mesi oramai han preso le cosce e quel che è peggio anche il peritoneo nell’addome; verosimilmente andando a veicolare altre cellule tumorali.”

E cinque giorni dopo: “Mi hanno detto che non guarirò e che quindi di questo male dovrò morire, ma non è che STO morendo ORA, se non nella stessa misura di tutte le altre persone intorno a me. Mi sono capito? Mah, vedremo.”Poi continuava: “C’è anche il piano mental-psicologico-esistenziale… e qui siamo sulle montagne russe, se riesco a rendere l’idea… Mi sento in balia degli eventi interni a me: oscillo – letteralmente, e molto più del solito – in un mare di emozioni, affetti, sensazioni, paure, desideri, rimpianti, angosce, propositi, consapevolezze, percezioni e dispercezioni – fisiche e mentali -, rimorsi, pensieri sul futuro e conseguenti dubbi sul ‘ci sarò?’, speranze, speranzielle, disperazioni. Cioè, oscillo tra: il bisogno dei baci dei miei cuccioli e i loro baci veri; sconforto, presenza sconfinata e indelebile di Irene (anche quando non c’è, e quando non c’è subito mi manca…); energie belle che mi arrivano da voi “tifosi”; disorientamento; voglia di capire come raggranellare tempo… e voglia di farlo già da ora; pianto; ogni tanto rabbia; tenerezza con i miei papyemamy; sguardi al bello che c’è; fretta; dubbi; domande e perplessità su come “preparare” (?) i bimbi; bisogno e avversione sul continuare ad ascoltarmi; immersione perenne nella detestabilità dell’idea di morire… e nel dispiacere di doverlo fare…”

Insomma, un uomo coraggioso che è stato bello incontrare. Una bella persona che mancherà a tantissimi. Un costruttore di comunità che, in silenzio ma con generosa dedizione, ha lavorato per fare dei nostri territori luoghi più inclusivi e solidali.

Conservo con gratitudine e commozione l’ultimo messaggio vocale che Ferdi ha mandato. Con voce molto affaticata diceva:

Carissimi, finalmente vi aggiorno innanzitutto. Grazie, grazie, grazie per la pazienza e la vicinanza. Ci siamo. Cominciamo i giorni della liberazione. Sono all’Hospice. Come dice Gibran quando si arriva in cima alla montagna, si comincia veramente a salire. Vi bacio e vi abbraccio tutti. Siete preziosissimi nel mio cuore.”