“We talk together”: i giovani ci mettono la faccia. Vogliono l’opportunità di essere ascoltati dalla Chiesa

“We talk together” è lo slogan della Riunione presinodale iniziata nei giorni scorsi che si concluderà il 24 marzo a Roma e vede protagonisti 315 giovani da tutti i continenti.
Giovani disposti a metterci la faccia, per portare la propria storia fatta di sogni, speranza, difficoltà e preoccupazioni, e chiamati a dialogare con il mondo adulto.
“Noi parliamo insieme”, perché passeggiando dai corridoi dell’Università al girare per le strade con il camper di Young’s, quello che i giovani cercano è la possibilità di potersi raccontare, di spiegare cosa c’è oltre quegli schemi prestabiliti che gli adulti tentano di attaccarci come se fossimo tutti lo stesso prodotto sugli scaffali del supermercato.
#DilloaFrancesco è uno degli hashtag lanciati, per dare a tutti l’opportunità di essere ascoltati dalla Chiesa, perché questo sinodo non sia sui giovani, dove tanti occhi sembrano puntati con una lente di ingrandimento, ma dei giovani per costruire insieme una Chiesa ancora capace di dire qualcosa.
Tre anni fa, quando timidamente cercavo di capire l’intricata struttura della Chiesa, non avrei mai immaginato questo Sinodo, ma soprattutto mai avrei pensato di sentirmi così coinvolta in qualcosa che potrebbe sembrare tanto distante.
Essere giovani nella Chiesa è più complicato di quanto si pensa, soprattutto perché a volte ci si sente molto soli, ma per fortuna l’età aiuta a creare rete che diventa legami e amicizie profonde.
Tra quei 315, c’è il volto di Gabriella, che prima di diventare la mia Presidente Nazionale è stata mia compagna di laboratori nelle assemblee regionali della Lombardia, c’è quello di Adelaide che ho conosciuto quando a Bergamo è nato il Movimento Studenti Azione Cattolica e grazie a loro sento di esserci anche io, che ci sia anche la mia voce per dirlo a Francesco.
Mentre immagino loro che sicuramente non tarderanno a inondarmi con tutte le emozioni che staranno provando, leggo i canti stranieri di Africa, America, Asia e Oceania pensando a quanto mondi apparentemente troppo lontani siano accumunati da grandi speranze e desideri.
La parola che torna più spesso è fiducia, ma si tratta di una fiducia che lentamente si sta sgretolando se non si è addirittura persa, in Africa nei confronti della generazione più anziana di credenti che non è riuscita a trasmetterla ai figli affinché potessero affidare alla Chiesa i grandi problemi sociali: la tossicodipendenza, la pornografia, l’alcoolismo o l’abuso minorile.
Nella Chiesa fiducia va di pari passo con Fede, affidarsi e fidarsi è un dono e per questo, appena viene tradita è il volto stesso di Cristo a sbiadirsi dietro un’istituzione che delude e non bisogna sorprendersi se in America la metà dei giovani ha perso fiducia nei leader della Chiesa.
Davanti ad una ferita si può lasciare che sanguini oppure, parlare insieme, per trasformarla in feritoia e ricostruire da dove ancora c’è dolore, perché nel futuro possa entrare la luce, come in Cina, dove bisogna reinventarsi e annunciare un Vangelo che davanti all’oscurità dell’aborto o dell’ateismo, possa insegnare a venire al mondo, perché quando nasciamo piangiamo, ma siamo pieni di luce.
Venire alla luce e poter trovare il proprio posto nel mondo, un’esigenza dei giovani in Oceania che si sentono vicini alla natura, per i loro spazi immensi e il rispetto delle culture indigene, ma che faticano a trovare un angolo in una Chiesa dove le diversità, le idee cariche di entusiasmo e folli non riescono ad inserirsi perfettamente.
Rifletto a tutto questo, mentre sul calendario vedo che ormai mancano pochi giorni alla fine del mio mandato e ripenso a quanto nel mio piccolo possa aver dato ad una Chiesa a cui ho voluto bene ma non sempre mi sono sentita voluta.
“We talk together” spero che sia un augurio, che inizi oggi, continui ad Ottobre e non si fermi, perché sarà solo ascoltandosi, parlandosi e incuriosendosi dell’altro che costruiremo una Chiesa per tutti nel segno di una sinodalità intergenerazionale con uno sguardo oltre al presente.