Papa Giovanni e la misericordia. “L’insegnamento di Gesù nel Vangelo è la mitezza e l’umiltà”

L’accentuazione della misericordia come componente fondamentale dell’annuncio evangelico costituisce un’acquisizione della coscienza cristiana del XX secolo, Come ha ben illustrato il cardinale Kasper nel suo ampio saggio Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo (Queriniana, Brescia 2012), non si tratta di una moda transitoria, ma della acquisita consapevolezza circa il ruolo di vertice da essa rivestito nella rivelazione biblica di Dio. Questo teologo indica papa Giovanni come uno dei primi a sottolineare questa dimensione: egli è stato protagonista di una vera svolta epocale, maturata nel corso di una lunga vita e che ha trovato la sua espressione più alta nel discorso di inaugurazione Gaudet Mater Ecclesia del Vaticano II. In quel memorabile 11 ottobre 1962 papa Roncalli disse che la Chiesa si è sempre opposta agli errori e che “spesso li ha condannati con la massima severità. Ora tuttavia la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità”.

La novità dello stile giovanneo non derivava solo da un temperamento, ma da ragioni teologiche, come attesta la sua biografia spirituale raccolta nel Giornale dell’anima. Fin dalla giovinezza il chierico Roncalli inizia a ridimensionare la pastorale della paura, basata sulla terribilità del Giudizio di Dio, a favore di questa dimensione. Ecco cosa scriveva nel dicembre del 1902: “Non ci arrivo a credere come il mio Gesù, che oggi mi tratta con tanta confidenza e bontà un giorno mi si debba presentare innanzi col volto infiammato di ira divina a giudicarmi. Eppure è un articolo di fede, ed io lo credo”. Qualche anno dopo, in una lettera al fratello Zaverio del 1917, scrive: “Io spero molto in Dio il quale è più misericordioso che giusto”.

Questa convinzione si costruisce e si accompagna alla particolare predilezione per il versetto di Matteo in cui Gesù afferma: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Matteo, 11,29). Esso gli ha ispirato un comportamento di cui non si è mai pentito, nella convinzione “che l’insegnamento di Gesù nel Vangelo è la mitezza e l’umiltà” (Giornale dell’anima, 11-15 giugno 1956). Si tratta di imitare il buon Pastore Gesù, modello che ogni ministro della Chiesa ha il dovere di rappresentare presso i fedeli. Per questo al termine pastor Roncalli amava aggiungere due termini che bene esprimevano il suo pensiero riguardo alla missione episcopale: pater et frater, tralasciando il dominus, che tradizionalmente accompagnava il pastor. Da vescovo voleva procedere con forma paterna, come si espresse a Venezia all’inizio della visita pastorale nel 1954: “Il vostro patriarca non verrà a voi con il frustino, nè col flagello, ma verrà con affetto, con rispetto, in forma paterna per rintracciare ciò quello che vi può essere di male, di manchevole, ma soprattutto per richiamare e confortare”. L’ideale del buon pastore è inoltre connesso con un profondo senso di fraternità. L’esperienza più autentica di Chiesa è il ritrovarsi insieme e il riconoscersi come membri della stessa famiglia, in quanto la dimensione della fratellanza precede quella della autorità. Diceva ai giornalisti il 6 novembre 1958, appena eletto papa: “Sono anch’io vostro fratello, anche se davanti a Dio sono il primo dei fratelli e in quanto pastore ho il compito di guidarli”.

Termino ricordando un suo intervento a Treviso nel 1957. Affermava che l’azione pastorale della Chiesa comprendeva un duplice obbligo: la difesa della verità e la pratica della carità, dovere questo non sempre debitamente considerato: “Accanto alla purezza della dottrina si aprono i campi e gli orizzonti per l’esercizio della carità: carità della donazione, del sacrificio, carità che si inizia nelle forme del rispetto e della cortesia di cui si adorna l’umana convivenza e ascende vigorosamente alle effusioni prodigiose ed eroiche del servizio pastorale”. Con questo vivo desiderio di esplorazione dei campi della carità si apprestava due anni dopo ad iniziare l’avventura del Vaticano II.