Papa Giovanni XXIII, uomo dell’incontro: «L’annuncio del Vangelo non va accompagnato dai fulmini e dalle saette del Sinai»

Roncalli visse i suoi primi anni in una società ufficialmente cristiana, modellata in tutte le sue espressioni di vita pubblica e privata dai dettami della visione religiosa propugnata dall’intransigentismo cattolico di fine Ottocento. Secondo il Sillabo di Pio IX, che ne era il documento ufficiale [1854], solo alla confessione cattolica, qualificata come vera religione, spettava il pieno riconoscimento dei diritti da parte delle pubbliche autorità, ciò che le conferiva un primato sulle altre confessioni e una situazione di privilegio. Naturalmente erano lontani i tempi dell’Inquisizione, perché anche alle varie chiese si concedeva uno spazio di libertà prevalentemente in ambito privato, che garantiva l’indispensabile esercizio del culto. Erano oggetto di tolleranza, cioè di una libertà limitata. Naturalmente lo Stato Italiano, fondato sul principio cavouriano della separazione tra Chiesa e Stato riconosceva piena libertà di culto a tutti senza discriminazioni. Anzi il principio della laicità in certi casi induceva a discriminare proprio i cattolici nel timore di favorirli. Roncalli, giovane prete intransigente, il 18 febbraio del 1918 ribadiva questi principi: «Assolutamente parlando è l’alleanza [rapporto preferenziale dello Stato con la Chiesa] l’ideale sociale. Protezione della verità e solo tolleranza per le sette dei dissidenti» (Giovanni XXIII, Nelle mani di Dio a servizio dell’uomo. I diari di don Roncalli 1905-1925, Il Mulino, Bologna 2008, p. 303). Sono espressioni retrograde, ma in Roncalli, uomo dell’incontro, maturava qualcosa di nuovo.
Egli si rendeva conto del carattere spirituale della Chiesa, che la distingueva radicalmente dalle organizzazioni politiche. Se ad esse spettava l’uso dei mezzi coercitivi, alla Chiesa era proprio il metodo della persuasione che mirava alla convinzione. Non solo, ma l’annuncio della verità del Vangelo non andava «accompagnata coi fulmini e colle saette del Sinai, ma con la calma e la serenità di Gesù sul lago e sulla montagna». Così scriveva nel 1911 criticando una conferenza tenuta dell’ultra-intransigente padre Mattiussi, violentemente polemica contro il mondo cattolico bergamasco. Le espressioni di Roncalli richiamano testi analoghi di monsignor Bonomelli, contenuti nella celebre pastorale La Chiesa e i tempi nuovi (Cremona 1906): «Le anime smarrite nei labirinti dell’errore e travolte nel vortice delle passioni non si riconducono sui sentieri della verità e delle virtù coi rimproveri acerbi, coi terrori, a cui non credono, coi tuoni e i lampi del Sinai, ma coll’invito amoroso di Gesù che diceva: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi”».
Roncalli non tardò a dare pratica attuazione a tali indicazioni. I lontani dalla fede amavano parlare con il giovane segretario di Radini. Non pochi lo chiamavano in occasione di gravi malattie e se non ricevevano i sacramenti in punto di morte, si mostravano interessati alla sua parola e gli chiedevano una preghiera oppure una benedizione. Questo comportamento suscitava la critica di essere un prete troppo accomodante e buono verso i lontani.
Al riguardo cito un episodio riguardante una signora anticlericale di Bergamo, che si stava avvicinando alla morte, da lui conosciuta per l’azione di assistenza ai soldati feriti: “[mercoledì 1 maggio 1918] Stamattina fui introdotto dalla sig. Adele Mazzola. Fu molto cortese e mi parve commossa. Le ripetei ciò che già le feci dire: cioè che non avesse timore di don Angelo, il quale si sarebbe guardato bene dal violare la libertà di coscienza di lei e di chiunque altro. Certo il mio cuore di sacerdote sarebbe lieto se potesse chiamare anche il cuore di lei in questa ora di dolore alla partecipazione di quelle gioie interiori che mi vengono dalla mia fede e dalla grazia del Signore di cui sono depositario: ma mi guardo bene dall’aggiungere una parola in più. Mi disse: «Oh! ella farà molto bene alle anime perché è intelligente e buono e tollerante: ne convertirà molte …»; «Quanto alla tolleranza – mi affrettai a dire io – che vuole? mi sento ministro di un Dio crocifisso che dal suo altare di dolore tese le braccia aperte per invitare e per accogliere tutti nella tenerezza della sua misericordia … Questa è la mia tolleranza»; «Ebbene, mi dia la sua benedizione»; «Se questo a lei piace e la desidera di cuore, però … giacché io non le propongo neppure questo»; «Sì, sì la prendo proprio volentieri». Si raccolse. Recitai il Sub tuum praesidium, le tradussi in italiano il versetto “Prega per noi Santa Madre di Dio: perché diventiamo degni delle promesse di Cristo¸ Questo non mi fece mai tanta impressione. La benedissi. Ella fece il segno della croce, dapprima colla sinistra che aveva più libera,e poi colla destra correggendosi e bene. Fummo contenti tutti. Ma si deciderà a fare il resto, che pur sarebbe tanto facile? Ne dubito assai”.
Come prevedeva, l’inferma non chiese i sacramenti. Roncalli concludeva: “Io ho la coscienza di aver proprio fatto tutto ciò che la carità e la prudenza mi hanno suggerito. Chino la testa ed adoro i disegni imperscrutabili di lassù”. [Giovanni XXIII, Nelle mani di Dio a servizio dell’uomo, pp. 321; 327-328].