La mia storia poteva finire come quella di Giada: ma sono riuscita a chiedere aiuto. Mi ha salvato l’amore

La testimonianza commossa di una giovane studentessa universitaria che ha vissuto un’esperienza analoga a quella di Giada Di Filippo, che si è conclusa tragicamente qualche giorno fa a Napoli. La riportiamo in forma anonima per desiderio dell’autrice.

Potevo essere io Giada. Ma la mia storia è proseguita un capitolo avanti, per una via diversa. Lì, al bivio tra il chiedere aiuto e la disperazione, le nostre strade si sono separate: le nostre storie prima così simili hanno avuto finali diversi. Potevo essere io Giada e oggi non scriverei queste parole colme di amarezza e dolore. Non sono solita commentare fatti così gravi e delicati, ma quando ho letto la notizia di quella vita spezzata qualcosa si è rotto anche dentro di me. Perché se chiudo gli occhi, so perfettamente cosa ha provato Giada: sento il suo dolore e la sua disperazione e so, come lei, cosa significa prendere in considerazione l’dea di farla finita.

Anche io come Giada ho avuto grandi difficoltà nella mia carriera universitaria. Anche io, come lei, mi sono ritrovata a mentire ai miei genitori, ai parenti, ai miei amici, agli sconosciuti, a chiunque mi rivolgesse la domanda: come va con l’università? Molto bene, grazie, mi manca solo la tesi. Ma non era così. La verità è che lo studio, che fin dalle elementari e fino all’ultimo anno di liceo era sempre stato facile per me, quasi naturale, con l’università era diventato uno scoglio insormontabile. I primi due anni tutto era andato via liscio, con gli esami in pari e i risultati a volte buoni a volte ottimi. Sentivo, ed ero certa, che la facoltà fosse quella giusta per me, perché l’alimentava un sogno, il desiderio di raggiungere un obiettivo nella mia vita. Con l’inizio del terzo anno sono iniziati i problemi. Non riuscivo a studiare, addirittura aprire i libri mi sembrava un gesto difficile, impossibile. Accettavo qualsiasi lavoro o attività che mi portassero lontano dallo studio e non sto parlando di pigrizia, badate bene: l’idea di fare altro, di impiegare il mio tempo con attività che non fossero legate allo studio, era solo per scappare dal problema che mi stava lentamente affliggendo. Studiare mi faceva stare male, soffrivo, quasi mi mancava il respiro. Poi, gradualmente, la difficoltà è diventata più grande. Non solo i libri, ma anche le aule universitarie provocavano in me un senso di terrore: non riuscivo a restare troppo a lungo tra gli ambienti della mia sede universitaria, la città mi spaventava, addirittura salire sul treno per recarmi in facoltà mi terrorizzava. Mi sembrava di impazzire. Eppure, non sono mai riuscita a confidare tutto questo a qualcuno e per anni ho lasciato che il mio dolore mi consumasse.

Le bugie hanno cominciato a prendere il sopravvento: non vi preoccupate mi mancano solo pochissimi esami, domani sarà l’ultimo esame e dopo solo la tesi. Poi son iniziate quelle che ora chiamo “contro bugie”: mamma, papà, il mio relatore mi ha abbandonato, devo cercarne un altro e slittare alla prossima sessione. Ma non preoccupatevi, ci riuscirò. Intanto un pezzo di me moriva ogni giorno. Presto arrivarono gli attacchi di panico notturni, le pareti della stanza si stringevano intorno a me e io gridavo parole soffocate nel cuscino, senza mai farne parola ai miei genitori per non spaventarli: non volevo vedere i loro volti delusi guardando la figlia secchiona diventare una ventenne fallita. E i muri intorno a me crescevano, mi isolavo, le maschere sul mio volto aumentavano e aumentavano gli attacchi di panico e anche le bugie che a volte traballavano ma ero troppo brava, troppo brava a non farle crollare. Poi, un giorno, incominciò a serpeggiare un’idea. La percepivo di notte, quando mi svegliavo in preda al panico, o quando dalle mie labbra sfuggiva l’ennesima bugia. Quando le speranze svanivano questa idea diventava grandissima, torreggiava su dime, impossibile non prenderla in considerazione; ma sono sempre riuscita a scacciarla, perché la speranza in me ritornava. La speranza… non ho mai ceduto al serpente che voleva prendersi la mia vita. E piango, perché quella serpe ha morso Giada e se l’è portata via.

Mi ha salvato l’amore. So che può sembrare una frase fatta, ma è davvero così. Stavo rimpicciolendo, accartocciandomi su me stessa, quando ho incontrato colui che oggi è ancora al mio fianco. Anche a lui ho detto bugie schifose, anche a lui ho mentito dicendo che tutto era perfetto, la mia vita era perfetta, io ero perfetta. Un giorno però l’ho guardato negli occhi: ho visto un amore grande, un amore da difendere e proteggere, un amore che per me era il diamante della mia vita e come si può mentire alla persona più preziosa? Come si può fondare una casa sulla sabbia? Gli ho detto tutto: ho confessato i miei errori, le mie bugie, ho confessato di essere indietro con gli esami, ho confessato di non farcela, di aver bisogno di aiuto e sì, di non essere perfetta, ma piena di insicurezza, di problemi, una mente incasinata e un cuore pesante.

Lui mi ha preso per mano e non mi ha lasciato: mi ha subito incoraggiato a raccontare tutto ai miei genitori e, ancora non so come, il giorno dopo sono riuscita ad affrontarli. Da tempo avevo perso la Fede, ma quel giorno la riscoprii. Capii che il Padre Buono è anche un papà che, disarmato, ti abbraccia e ti dice noi siamo qui per te, non ti abbandoniamo. Vidi mia madre arrabbiarsi, soffrire enormemente per le bugie che le avevo detto, invecchiare di colpo, ma poi piangere con me chiedendomi perdono perché non aveva letto nei miei occhi il mio dolore. Ma non era colpo loro, così come non colpa della famiglia di Giada, del fidanzato di Giada.

Non è stato facile per la mia famiglia affrontare questa prova, rialzarci insieme dopo la caduta e ripartire, insieme. Con calma ho iniziato a raccontare tutto ad alcuni amici, i più intimi. Superare la vergogna non è stato semplice ma ogni giorno in cui mi confessavo con loro mi sentivo più leggera, meno incasinata, meno colpevole, e il problema diventava più piccolo: forse, era così immenso, perché gravava solo sulle mie esili spalle. Ho imparato a volermi bene, a perdonarmi, ad amare e, soprattutto, a lasciarmi amare.

Dopo un percorso con una psicologa, ho deciso di riprendere a studiare, con calma, molta calma, perché ho capito che è importante rispettare me stessa. La scelta di terminare gli studi è stata mia, perché io voglio che sia così, non perché devo tutto questo a qualcun altro, solo a me stessa. Non sempre è facile, a volte la repulsione per i libri torna a bussare, ci sono giorni in cui mi sento una fallita e vorrei cancellare parte del mio passato. Però ricordo a me stessa che non è così e che devo rispettare i miei tempi. La vita è la mia vita, non si nasce per accontentare gli altri.

Ho letto molti commenti dopo la notizia di Giada. Alcuni comprendono il suo dolore e le sue difficoltà, altri la accusano di aver mentito, di aver creato una bella favola. A costoro io dico: non siete mai stati Giada. Non sapete cosa si prova, non conoscete il dolore che ti scava dentro, non sapete cosa significa combattere, da soli, contro se stessi.

So che come Giada e come me ci sono ragazzi in Italia e nel mondo che stanno vivendo tutto questo, in forme simili o identiche, ma sicuramente di uguale difficoltà. Non siete soli. Quanto avrei voluto sussurralo anche all’orecchio di Giada, in cima a quel tetto. Parlate, abbiate il coraggio di cercare aiuto. Ho in mente le parole che mi ha rivolto un amico: l’università non è tutta la mia vita. È davvero così. Probabilmente non siete degli studenti modello, in piena regola con il piano di studio, fate fatica, gli esami a volte vi sembrano ostacoli troppo alti da superare: non disperate e parlate, raccontatevi! Non permettiamo che una scuola, un titolo di studio, le pretese di una società che ci vuole sempre al top ci distruggano. Non permettiamo che il nostro essere fragili e imperfetti sia motivo di vergogna: dire non ce la faccio non è una colpa, ma è un segno di grande umiltà e consapevolezza di se stessi. Il mondo è grande, il mondo offre opportunità che non devono necessariamente coincidere con l’ottenere una laurea.  Studiamo solo se sentiamo e siamo convinti che sia la direzione giusta per noi, per raggiungere certi obiettivi. Altrimenti, torniamo sui nostri passi e modelliamo il nostro futuro con altri materiali. Va bene anche così. La felicità è vera solo quando è condivisa, aveva scritto qualcuno, rimasto da solo ad affrontare la morte. La felicità passa attraverso l’amore delle persone che sono lì, accanto a te, pronte a risollevarti e a camminare con te. Non siamo perfetti ed è bellissimo così.

Potevo essere io Giada, ma non lo sono e ringrazio Dio per questo. A lei e alla sua famiglia vola il mio pensiero e la mia tenerezza.