Cecilia Strada a Campagnola presenta «La guerra tra noi»: un viaggio alle origini delle migrazioni

«Sono andata lontano per capire cosa succede qui»: così Cecilia Strada, figlia di Gino e di Teresa Sarti, presenta il suo libro “La guerra tra noi” (Rizzoli). Mercoledì 18 aprile sarà a Bergamo alle 21 per presentarlo al circolo culturale Barrio Campagnola (via Ferruccio dell’Orto, 20 Bergamo). Cecilia, laureata in Sociologia all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, per otto anni presidente di Emergency, organizzazione non governativa che fornisce assistenza alle vittime di guerra, delle mine antiuomo e della povertà, in questo libro indaga sulle origini e le cause dei movimenti migratori, costruendo un racconto denso di immagini, volti, emozioni. Come l’incontro con “il bambino col panciotto”, sbarcato in Sicilia: “Sul molo  – scrive – c’è un uomo in pantaloni scuri, panciotto e cravattino. Ci corre incontro sorridendo. È molto orgoglioso del suo completo elegante. Ha tre anni, forse quattro.” Prima di sbarcare insieme ad altre trecento persone, si è cambiato d’abito. Lo fanno in tanti, racconta Cecilia Strada: si mettono il vestito buono “per presentarsi nel modo migliore alla fine del viaggio, al Paese che li accoglie.” Facce come questa l’autrice però le ha già incontrate con Emergency “a casa loro”, in Afghanistan, in Sudan, in Iraq; ha visto troppe ferite per non immaginare il peggio dietro gli occhi persi nel vuoto di donne e uomini sopravvissuti a malapena sulle navi di soccorso. Tutta l’informazione parla di emergenza migranti, ma a che serve dare la colpa del nostro impoverimento a chi fugge dalle bombe o dalla miseria? Dalla lunga estate del G8 di Genova e delle Torri gemelle sono passati oltre quindici anni di guerra. Oggi guardiamo a Parigi, a Londra, a Barcellona, e siamo tutti più terrorizzati, nonostante l’impegno e i soldi investiti per la nostra sicurezza. Che cosa è andato storto? Cecilia Strada cerca le risposte nelle storie che lei stessa ha vissuto in prima in persona. Ne uccide più la guerra o la corruzione, in Afghanistan come in Italia? Che cosa collega le nostre tasse a un vigile urbano in Afghanistan che viene ricoverato sette volte per ferite da arma da fuoco? Chi ci guadagna a testare nuove armi in terra sarda e quanto invece costa ai cittadini che pagano il conto in salute? Infine, cos’è la sicurezza che desideriamo tutti, italiani e iracheni? La si potrà ottenere con altra guerra? Ed è ragionevole immaginare che il sistema della guerra possa essere mutato proprio da coloro che ne traggono vantaggio? «Se mi guardo indietro – scrive Cecilia -, vorrei solo aver dedicato più tempo, in mezzo alle macerie, a mettere via i mattoni delle cose belle e positive. Delle alternative possibili, di chi anche in tempo di guerra costruisce pezzi di pace. Di chi ferma anche solo un ingranaggio della fabbrica della guerra, di chi cerca di uscire dal sistema di sfruttamento e lo fa tirandosi dietro qualcun altro. Perché davanti ai mali sociali non dobbiamo restare soli ma uscirne insieme».