La battaglia del piccolo Alfie Evans e i molti no dei giudici inglesi. Nessuna vita è inutile

Poniamo che sia vero, come hanno precisato in questi ultimi giorni quotidiani e tv, che le condizioni del piccolo Alfie Evans, 23 mesi – affetto da una malattia neurogenerativa sconosciuta e incurabile – siano ormai gravi e irreversibili. Ma seguiamo comunque con grande dolore questa vicenda perché ancora una volta, come è già accaduto nel caso di Charlie Gard un momento delicatissimo – una vita alle sue ultime battute – si gioca nelle corti dei tribunali a colpi di carte bollate. Si consuma – di nuovo – sulla pelle di un bambino fragilissimo una strenua battaglia sul diritto all’assistenza e alla cura. Alfie non è, lo dicono gli stessi medici, un malato terminale: quando gli hanno staccato le macchine per la ventilazione ha ripreso a respirare da solo, sorprendendo tutti. Lo hanno lasciato comunque quasi 24 ore senza nutrirlo e idratarlo, provocandogli – immaginiamo – inutili sofferenze. Pensiamo al silenzio di quelle ore, alla disperazione dei genitori. I giudici inglesi sono rimasti indifferenti all’appello accorato di Papa Francesco, che all’udienza di mercoledì scorso ha ricevuto il papà di Alfie. Non è servito neppure, finora, l’azione compiuta dal nostro governo per assicurargli la cittadinanza italiana e di offrirgli il trasferimento all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Nonostante la grande mobilitazione nata intorno a questo caso, fatta di proteste e preghiere, la giustizia inglese – in ogni grado di giudizio – ha insistito nel conservare la propria posizione. C’è una differenza, ci pare, tra l’accanimento terapeutico e le cure necessarie e compassionevoli, per quanto l’avanzare della tecnologia possa rendere il confine più sottile, le decisioni più difficili. In quest’ambito occorre più chiarezza. Ma è inaccettabile, soprattutto, definire una vita “inutile”, provocarne una fine prematura, togliendo per di più i suoi ultimi momenti in modo forzato e violento all’intimità familiare, deprivandoli della speranza e dell’amore che dovrebbero invece restare caratteri distintivi di tutta questa storia. Se Alfie ha ancora un pezzo di strada da fare, è giusto che possa camminare fino alla fine con serenità, accompagnato dai suoi cari, preservato dal dolore, con tenerezza, fuori dall’ombra delle toghe.