L’azione diplomatica di Roncalli in Turchia (1935-1944) si presenta ancora più difficile di quella in Bulgaria. La caduta dell’Impero Ottomano dopo il primo conflitto mondiale, aveva portato all’instaurazione della repubblica sotto la guida di Atatürk. Essa aveva portato all’instaurazione di un sistema politico di stampo laico e fortemente nazionalista. Ma la laicizzazione della vita politica non aveva segnato un indebolimento della religione islamica presso la popolazione che continuava ad essere impermeabile ad influssi di altre religioni. Inoltre il nazionalismo turco, che aveva respinto il tentativo della Grecia di annettere territori abitati dai greco-ortodossi, aveva avuto conseguenze tragiche sulla presenza cristiana, scesa in pochi anni dal 20% al 2%. Era un nazionalismo che vedeva nel cristianesimo un elemento straniero ed estraneo al popolo. Basti ricordare l’eccidio degli Armeni, una presenza largamente diffusa nel cuore della Turchia e quasi completamente cancellata.
Ora Roncalli è delegato apostolico di Turchia e Grecia, ma nello stesso tempo è nominato vicario apostolico della minuscola chiesa latina, formata da circa 8.000 fedeli. Vi sono poi altre piccole comunità cattoliche di rito ortodosso, armeno e caldeo, decimate dalle persecuzioni. In questo contesto dolorosamente tragico Roncalli elabora una condotta realistica, sempre ispirata ad una visione cristiana. Per chi vuol rimanere in Turchia «non resta che innestarsi su questo nuovo ordine, più o meno buono, più o meno maturo o partire». Roncalli cerca i punti di contatto, rifiutando di vedere nel nuovo ordine un sistema anticristiano. Alcune convergenze esistevano: la proclamazione della libertà di coscienza, l’abolizione della poligamia, l’adozione della domenica come giorno di riposo in sostituzione del venerdì. La laicizzazione riguardava anche il costume, in particolare il velo delle donne e il vestito dei religiosi, che una legge del 1935 proibiva anche ai cristiani. La loro reazione era stata di netto rifiuto. Roncalli esorta alla calma coloro che volevano abbandonare la Turchia, e compie alcuni gesti esemplari. Si presenta ad una comunità di suore molto contrariate, vestito lui stesso da laico, con un abito troppo stretto e pantaloni troppi corti, secondo una testimone. Così fa anche con i suoi fedeli, che ne rimangono sorpresi.
Nell’arco di un decennio non riesce mai ad avere incontri anche solo di cortesia con le massime autorità turche; nonostante ciò non vuol ricorrere all’aiuto dei diplomatici francesi e italiani per rimarcare l’indipendenza della Santa Sede dai governi europei e non presentarla come infeudata alle “potenze cattoliche”. Questo atteggiamento alla fine pagherà, quando, eletto papa, la Turchia avvierà la pratica per relazioni diplomatiche ufficiali presso la Santa Sede.
Inoltre cerca di mostrare stima ed amore per i Turchi attraverso gesti simbolici che colpiscono la pubblica opinione, come l’introduzione della lingua turca in alcune preghiere liturgiche, come nel “Dio sia benedetto”. L’innovazione incontra forti reazioni negative presso la comunità cattolica, che si ritiene offesa, perché abituata a guardare i mussulmani dall’alto in basso. Si tratta di superare secolari incomprensioni storiche: i mussulmani hanno bisogno di scoprire nei cristiani veri credenti e non degli infedeli e sapere di essere oggetto di stima.
Non destano quindi sorpresa alcune eloquenti espressioni dell’omelia tenuta nella cattedrale di Istanbul nella Pentecoste del 1944 alla sua piccola comunità. Essa era portata più a rinchiudersi che ad aprirsi, ritenendo così di salvare la propria identità cristiana. Roncalli osserva che questa esige un comportamento del tutto diverso: «Comprendo bene che diversità di razze, di lingua, di educazione, contrasti di un passato cosparso di tristezze, ci trattengono ancora in una distanza che è scambievole, non è simpatica, spesso è sconcertante. Pare logico che ciascuno si occupi di sé, della sua tradizione familiare o nazionale, tenendosi serrato entro il cerchio limitato della propria consorteria, come è detto degli abitanti di molte città dell’epoca di ferro, dove ogni casa era una fortezza impenetrabile, e si viveva sui bastioni e sui propugnacoli. Miei cari fratelli e figlioli: io debbo dirvi che nella luce del Vangelo e del principio cattolico, questa è una logica falsa. Gesù è venuto ad abbattere queste barriere; egli è morto per proclamare la fraternità universale, il punto centrale del suo insegnamento è la carità, l’amore che lega tutti gli uomini a lui come al primo dei fratelli e che lega lui con noi al Padre. So bene che subito mi si leverà innanzi difficoltà d’ambiente che possono contrastare a questa libera espansione dell’anima di ogni fedele nella comunicazione della verità e della grazia ai propri fratelli. Ma voi sapete bene che al di là della linea ufficiale che arresta alcune manifestazione dell’apostolato pubblico e solenne e che il buon cattolico si guarda dal sorpassare c’è tutta un’infinità di rapporti innumerevoli e di contatti che sono in piena conformità alle leggi del paese, e che permettono, in un orizzonte di riconosciuta libertà individuale, molteplici possibilità di trasmettere il messaggio divino» (M. Roncalli, Giovanni XXIII. Una vita nella storia, Milano 2006, pp. 274-275).
Si vede bene come Roncalli non sia stato solo il gestore di una comunità cattolica in crisi; ma abbia elaborato nella complessa situazione turca la sua visione di Chiesa e ne abbia tratto l’idea di una missione possibile e doverosa, un’acquisizione importante per il futuro.