L’aborto, i quarant’anni della legge 194 e le polemiche sulla campagna di Pro Life: gli slogan non bastano

A quarant’anni dall’approvazione della legge 194 che legalizzava l’interruzione volontaria di gravidanza, il dibattito su questa delicatissima questione non accenna a calmarsi. Anzi, è proprio in occasione dell’anniversario che sono ripartiti scontri ideologici e polemiche: manifesti delle associazioni Pro Life in varie città d’Italia per denunciare il ricorso alla pratica dell’aborto, denunce sulle incoerenze tra un diritto sancito a livello di legge e l’effettiva impossibilità di ricorrervi in caso di necessità a causa dell’aumento esponenziale del numero di obiettori (di coscienza o di comodo). E ancora discussioni e manifestazioni scandite a suon di slogan opposti e apparentemente inconciliabili: chi ritiene l’aborto una violenza legalizzata contro una vita innocente, e chi invece ritiene imprescindibile il diritto della donna di poter scegliere liberamente su un tema – la maternità – così delicato e personale, che condiziona pesantemente numerosi aspetti della sua vita.

E allora, a quarant’anni dall’approvazione della legge e in un contesto sociale e politico che le battaglie delle donne le fa proprie solo a fasi alterne e in base alla convenienza politica che hanno sul momento, forse varrebbe la pena di cambiare punto di vista. Non si può continuare a parlare di “aborto sì” o “aborto no” come se fosse una questione a sé stante, staccata da tutto il resto. Non si può limitare la discussione sull’essere pro e contro una scelta, se non si iniziano a considerare anche tutti gli aspetti ad essa collegati. E che investono l’educazione, la prevenzione, il lavoro, il welfare.

Parliamo di maternità, allora, e chiediamoci come mai nel 2018 l’aborto sia ancora considerato una scelta dolorosissima ma necessaria per molte donne. Chiediamoci dove siano le alternative, quanto siano realmente accessibili, e quanto il mondo dei proclami sia lontano dalla quotidianità difficile di molte, troppe donne. Perché se da un lato è giusto portare avanti le proprie battaglie, dall’altro mi domando quante associazioni che si battono contro l’aborto scendano contemporaneamente in campo anche per pretendere maggiore flessibilità lavorativa e maggiori tutele per le donne e mamme lavoratrici. Mi chiedo anche quanti, tra chi sostiene il diritto all’aborto senza se e senza ma, si siano mai confrontati con l’immenso dolore che lacera una donna quando è costretta ad una scelta simile, in barba, ancora una volta al famoso slogan “il corpo è mio e ne faccio quello che voglio”. La vita vera è altro: e dopo le parole facili, dopo il diritto a fare quello che si vuole del proprio corpo, c’è qualcuno che raccoglie i cocci che questa decisione lascia dietro di sé? Prima, c’è qualcuno che si fa carico dei problemi – innumerevoli – che possono portare a questa decisione?

Non nascondiamoci dietro un dito. Troppo spesso questa battaglia viene usata come scontro di potere e di ideologia, da una parte e dell’altra, e combattuta sul corpo delle donna ma senza curarsi realmente delle donne. Se così non fosse, ci saremmo già sedute tutte attorno ad un tavolo – sostenitrici e detrattrici dell’aborto – e avremmo iniziato a combattere insieme per ottenere ciò che realmente potrebbe evitare di ricorrere a una soluzione così drastica e devastante.

Avremmo iniziato già da tempo a pretendere l’educazione sessuale nelle scuole di ogni ordine e grado, invece che lasciare la sessualità adolescenziale in balia di Google: solo così si possono insegnare ai giovani il rispetto, le relazioni sane, la presa di responsabilità che ogni atto comporta, e solo così li si può guidare nella conoscenza del proprio corpo, dei propri ritmi, dei metodi di contraccezione e – sì – anche delle misure a sostegno di chi rimane incinta magari senza volerlo.
Se ci interessasse davvero aiutare le donne, saremmo tutte insieme a pretendere sostegni economici reali alla maternità – asili e asili nido che non costino uno sproposito, ad esempio – e una flessibilità lavorativa che non costringa le donne a scegliere tra maternità e lavoro e dia invece al padre e alla madre pari ruoli, pari responsabilità e diritti. Ma ci impegneremmo anche tutte insieme a combattere una cultura maschilista che ci vuole solo annullate nella maternità, salvo poi lasciarci sole pure in questa. Ci impegneremmo per difendere le vittime di stupro, invece di lasciarle sole perché anche noi a volte pensiamo che “forse, un po’ se l’è cercata”.

Fino a quando non impareremo a vedere tutte queste tematiche come strettamente connesse, fino a quando non le considereremo battaglie di tutte e per tutte, fino a quando non la smetteremo di scannarci su aborto sì/ aborto no e non inizieremo a combattere insieme, avremo sempre perso. Una donna che sceglie l’aborto è una donna lasciata sola: prima, durante e dopo. Partiamo da questo. Il resto è solo ideologia, e l’ideologia non ci ha mai aiutate.