Prete, pastore, diplomatico: “Giovanni XXIII, un grande Papa”. Il ritratto di Andrea Tornielli

Angelo Roncalli fa ritorno nella sua terra d’origine dal 24 maggio al 10 giugno 2018, nel sessantesimo anniversario dalla sua elezione a Pontefice, avvenuta il 28 ottobre 1958.

L’urna contenente le spoglie di Giovanni XXIII beatificato da Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000, e in seguito canonizzato il 27 aprile 2014 insieme con Papa Giovanni Paolo II da Papa Francesco, lascerà le Grotte Vaticane della Basilica di San Pietro. In tal modo i pellegrini sia a Bergamo, sia a Sotto il Monte, sia al Santuario della Madonna della Cornabusa in Valle Imagna, a Sant’Omobono Terme, sia al convento di Santa Maria Assunta in Baccanello a Calusco d’Adda avranno occasione di pregare di fronte al “Papa buono”.

Questo importante evento ci permette di rievocare la figura unica di Giovanni XXIII con Andrea Tornielli vaticanista, giornalista del quotidiano “La Stampa” e coordinatore del sito web “Vatican Insider” autore di una biografia su Roncalli: “Giovanni XXIII. Vita di un padre santo” (Gribaudi 2000).

Ricordiamo gli eventi salienti dell’esistenza di Roncalli nato a Brusicco, una frazione di Sotto il Monte in provincia di Bergamo, il 25 novembre 1881, da una famiglia di mezzadri, quarto di tredici fratelli. Gli studi in seminario, il suo diario “Il giornale dell’anima” iniziato nel 1895, l’ordinazione a sacerdote nel 1904, tenente cappellano nell’ospedale militare di Bergamo durante la Grande Guerra. Ancora, le missioni diplomatiche del nunzio Roncalli in Europa, la promozione alla prestigiosa Nunziatura di Parigi nel dicembre 1944 e la nomina a Patriarca di Venezia nel 1953. L’elezione di Roncalli a Sommo Pontefice all’età di settantasette anni, le Encicliche “Mater et Magistra” (1961) e “Pacem in terris” (1963) e il suo decisivo intervento in occasione della grave crisi di Cuba nell’autunno del 1962. La decisione di istituire il Concilio Vaticano II i cui lavori iniziarono l’11 ottobre 1962, il celebre e poetico “discorso della luna” e la morte del “Papa buono” avvenuta il tardo pomeriggio del 3 giugno 1963 mentre il Card. Traglia stava celebrando una Messa solenne sul sagrato di San Pietro, davanti a una folla immensa e silenziosa. “Perché piangete? Questo è un momento di gioia…”.

«La morte di Papa Giovanni fece scalpore in tutto il mondo, in Italia era già entrata la televisione, quindi la morte di Roncalli viene vissuta in diretta, con una forte attenzione mediatica», chiarisce Tornielli.

“Gesù, sia chiaro, qui il Papa sei tu, io ti do una mano”. Con queste parole il Patriarca di Venezia Angelo Roncalli commentò la sua elezione al Soglio petrino. Quanto fu utile a Giovanni XXIII l’esperienza come diplomatico quando divenne Papa?

«Fu certamente utile come conoscenza del mondo, dello spirito umano, per la capacità di saper mediare, per l’essersi reso conto di persona di situazioni di difficoltà che vivevano i cristiani in alcuni Paesi. Al tempo stesso però bisogna ricordare che Roncalli rappresenta un buon esempio di diplomazia pontificia. Il diplomatico pontificio è e resta innanzitutto un sacerdote. Dunque Roncalli nunzio apostolico resta un prete, l’attività pastorale non è in secondo piano rispetto a quella diplomatica. Viene esercitata mentre si esercita quella diplomatica. Roncalli è un esempio di diplomatico che non si trasforma mai in un funzionario o in un burocrate e viene eletto Papa non perché era stato un buon diplomatico ma perché viene riconosciuto come un pastore. Al momento dell’elezione Papa Roncalli era il Patriarca di Venezia, quindi era totalmente dedito alla pastorale. La frase citata all’inizio è molto bella, perché Roncalli fino a quel momento aveva sempre detto quando di notte si alzava in subbuglio perché aveva un problema: “Domani ne parlerò con il Papa”. Ora il Papa era lui. Quindi quella frase “confidare in Gesù”, che è Lui la guida nella Chiesa, ci dice della consapevolezza del fatto che il Papa è un uomo, ma che resta un Vicario di Dio che guida la Chiesa».

A Bergamo come prima tappa l’urna raggiungerà il carcere di Via Gleno, ricordando il gesto fatto dal Papa Buono della visita ai carcerati di Regina Coeli nel dicembre del 1958, quando Papa Roncalli disse: “Ho messo i miei occhi nei vostri occhi, ho messo il mio cuore accanto al vostro cuore”. Un altro gesto memorabile?  

«Fu un gesto storico di grande portata, il Papa entrava nel carcere che sorge a due passi dal Vaticano. Le parole del Santo Padre fecero scalpore, ma fece soprattutto scalpore il fatto che Roncalli si presentò con un grande volto di misericordia e di vicinanza, ricordando e un po’ inventando un particolare della sua famiglia che aveva avuto un lontano parente che era stato in carcere per una notte per bracconaggio. Tutto ciò per trovare nella sua biografia qualcosa che lo unisse alle persone che erano lì. Al termine della Messa il Pontefice volle andare anche dalle persone che stavano nei vari bracci del carcere che non avevano potuto assistere direttamente alla Messa e che lo attendevano in ginocchio. Mi ha sempre colpito e commosso la frase che gli disse un carcerato salutandolo alla fine della Messa con il volto pieno di lacrime, inginocchiandosi: “Quelle parole che ha detto valgono anche per me?”. Roncalli non rispose, si limitò a benedirlo e ad abbracciarlo. La visita a Regina Coeli fu un gesto profondamente evangelico, “ero forestiero e mi avete accolto, ero carcerato e siete venuti a trovarmi”. Queste sono parole di Gesù».

Si è detto che “Giovanni XXIII è il Concilio e il Concilio è Giovanni XXIII”. Cosa ne pensa?

«Sono d’accordo e al tempo stesso non lo sono. Mi spiego. “Giovanni XXIII è il Concilio e il Concilio è Giovanni XXIII” se lo guardiamo dal punto di vista della grande intuizione, del coraggio, della capacità di questo Papa, confidando soltanto nell’aiuto di Dio di prendere delle decisioni storiche, in un’età nella quale nessuno si sarebbe mai sognato di iniziare quest’opera titanica. Non sono d’accordo nel far coincidere il Concilio con Roncalli e Roncalli con il Concilio, perché ciò non tiene conto che in realtà chi condusse il Concilio e lo portò a termine fu Paolo VI. Quindi i Papi del Concilio Vaticano II sono due: Giovanni XXIII e Paolo VI».

«Tornando a casa, troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza». Il “discorso della luna”, pronunciato a braccio dal “Papa buono” la sera dell’apertura delle assise conciliari, rappresenta uno dei tratti distintivi di questo Pontefice straordinario, cioè la sua capacità di parlare con un linguaggio semplice?

«Sì, quel discorso è rimasto nel cuore di tutti. Nel giorno dell’apertura del Concilio, di sera la Chiesa era pervasa da una grande speranza condivisa, c’era quella grande fiaccolata in Piazza San Pietro che creava una suggestiva croce di torce organizzata da Azione Cattolica. Il Papa all’inizio non voleva affacciarsi, il suo segretario Loris Capovilla lo convinse a guardare di nascosto dalla finestra. Roncalli vide cosa era quella piazza e fece aprire a Capovilla la finestra dicendo “Faccio solo la benedizione”. Invece il Papa buono prese la parola, non c’era un testo scritto, eppure quel linguaggio, quel gesto, quella spontaneità fece sentire Roncalli come un padre, come un nonno buono che accompagnava la Chiesa all’inizio di un percorso di grande speranza».

Dopo Pio XII tutti si aspettavano un “papato di transizione”, invece con quattro anni e otto mesi di pontificato Roncalli resta un punto di riferimento per il futuro della Chiesa. Ce ne vuole parlare?

«Innanzitutto con la frase “papato di transizione” s’intende un pontificato breve, quello di Roncalli non è stato brevissimo, è durato quasi cinque anni. “Papato di transizione” vuol dire anche un pontificato tranquillo che serve da transizione tra un grande pontificato e un altro grande pontificato con delle figure eminenti e che hanno davanti a sé un periodo di vita lungo e sufficiente per agire nella Chiesa. Una parte considerevole degli elettori di Giovanni XXIII lo scelsero perché ritennero che in quel momento la Chiesa aveva bisogno di un momento, appunto, di tranquilla transizione in attesa di un altro grande pontificato, che si sarebbe dovuto preparare. Invece i cardinali non si resero conto che eleggevano un uomo che nonostante la veneranda età avrebbe avuto il coraggio di seguire lo Spirito Santo, cosciente del fatto che la Chiesa aveva bisogno di annunciare in modo nuovo il Vangelo e di rapportarsi in modo nuovo nel mondo di allora che stava cambiando non poco».

C’è una sorta di continuità tra il pontificato di Roncalli, che volle portare una ventata di modernità nella Chiesa, e quello di Bergoglio diventato Papa in un momento di maggiore crisi della Chiesa moderna, decidendo, quindi, di avviare un vero e proprio progetto di riforme?

«Credo di sì. Il fatto che Francesco abbia canonizzato Giovanni XXIII indica anche questa sua devozione filiale a questo Papa. Credo però onestamente che bisogna riconoscere una continuità che parte da Giovanni XXIII ma arriva fino a Benedetto XVI. Papa Francesco come Papa Roncalli ha una grande docilità allo Spirito Santo come aveva Roncalli e una grande spontaneità dei gesti che ha caratterizzato la figura del Papa bergamasco fino a farlo definire il “Papa buono”. Però Bergoglio trae molta ispirazione dal pontificato di Paolo VI, con particolare riferimento all’Esortazione Apostolica di Papa Montini “Evangelii Nuntiandi”, le riforme che Montini ha annunciato. Francesco trae ispirazione anche dal grande coraggio missionario di San Giovanni Paolo II e dallo sguardo profondamente teologico di Benedetto XVI che ci ha insegnato come la Chiesa è un Popolo che guarda verso il Signore, un Popolo che guarda se stesso. C’è dunque sintonia tra Roncalli e Bergoglio, ma non è una sintonia esclusiva, il riferimento per Francesco sono gli ultimi predecessori».