Qualcosa sul Gay Pride. A proposito di imbarazzi e di fragorosi silenzi. Il parere di un parroco

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il (mancato) rosario riparatore e il silenzio del “nostro” giornale

A distanza di qualche giorno dal Gay Pridedi Bergamo, come semplice parroco che tenta di capire come si muove la storia che abitiamo, mi permetto di esprimere alcune considerazioni. Non nascondo il mio personale disagio per come, in seno alla comunità ecclesiale, manca talora quella mitezza capace di comporre le diverse visioni del mondo, scadendo in giudizi perentori che non edificano il popolo di Dio.
Faccio fatica a comprendere un “Rosario riparatore”. Ma faccio anche fatica ad accogliere chi lo giudica “iniziativa profondamente antievangelica”. E pure faccio fatica a capire perché il “nostro” giornale abbia del tutto ignorato un evento che ha coinvolto migliaia di persone e che è passato proprio sotto le finestre della Redazione.
Credo siano tutti segni di paura, imbarazzo, disagio, unilateralità di visione.

A te fratello che sei a disagio. C0ndivido il tuo disagio

Mi permetto allora, così come riesco, di scrivere idealmente a due fratelli nella fede: il fratello che prega per la famiglia “tradizionale” e il fratello omosessuale che rivendica la possibilità di vivere il proprio orientamento affettivo senza essere giudicato malevolmente.
A te, fratello a disagio per la svalutazione (o equiparazione) della famiglia, dico che anche io sottoscrivo il fastidio per una rivendicazione di diritti se questa avviene in modo violento e provocatorio. E che anche io, come te, nutro perplessità quando si vuole insinuare che famiglia omosessuale o eterosessuale sono identiche, quando l’identità sessuale la si intende come realtà aggiuntiva e non costitutiva del soggetto, quando non fa più problema che un bambino possa avere due genitori dello stesso sesso. E condivido con te questi discorsi non solo perché credo che Dio abbia creato l’uomo e la donna affinché nel loro reciproco amore potessero concorrere a co-creare il mondo, come per altro il libro di Genesi stupendamente ci illustra; ma perché l’amore è sempre realtà vitale che compone e armonizza le alterità e la diversità più originaria è proprio quella sessuale, dal momento che è inscritta fin dal concepimento. Ritenere la famiglia eterosessuale come anacronistica e sorpassata con la possibilità giuridica di generare figli nei modi più diversi, affidandoli a due (e perché non di più?) genitori dello stesso sesso, mi lascia come te, attonito. Quando infatti i bimbi, fin dalla scuola primaria, imparano che un cucciolo di uomo nasce dalla fecondazione di uno spermatozoo e di un ovulo e che un grembo di donna accoglie il mistero della vita nascente, inizieranno a farsi domande sulla loro origine, e avranno tutti i diritti di sapere chi sono e da dove vengono, altrimenti verrebbero violentati nei loro diritti. E allora caro fratello nella fede, sono d’accordo con te che occorre pregare per la famiglia, che occorre riconoscere i diritti dei più deboli (i bimbi), che è bello sentirsi parte di una alleanza di amore che concorre nei gesti di tenerezza tra corpi diversi a generare vita. Ma dissento dal pensare, caro fratello nella fede, che occorra pregare il Signore o la Madonna, contro altri fratelli che desiderano manifestare la libertà di amarsi in un altro modo. Non solo perché cosa sconveniente, ma perché la preghiera apre e non chiude, spalanca e non erige muri, né alimenta alcun tipo di scontro.

A te fratello che sei omosessuale: mi impegno a rispettarti per quello che sei

A te, fratello nella fede che rivendichi la possibilità di vivere il tuo orientamento affettivo omosessuale senza essere giudicato, esprimo la piena solidarietà per la discriminazione che puoi aver subìto e ancora puoi subire. E se il Gay praiuta a consentire che questo non avvenga più, ben venga. Spesso, anche in confessionale, ho riscontrato in persone come te delicatezza e sensibilità accentuate, forse perché maturate in un crogiuolo di sofferenza o di imbarazzo nel cuore. Ti assicuro, fratello nella fede, che mi impegnerò a rispettarti per quello che sei. Ti chiedo anche benevolenza nel non giudicarmi malevolmente, né di provocarmi con forti esibizioni del tuo essere omosessuale.
Come parroci e pastori del popolo di Dio credo siamo chiamati ad una mite parresia, cioè a comporre le diversità di vedute con lungimiranza, facendo fare i passi con quella gradualità che si riesce, evitando giudizi perentori unilaterali e laceranti, esercitando la pazienza e ricordando che la ricchezza della Chiesa tante volte nasce dalla diversità dei suoi membri. Trovo fastidio quando i pastori si schierano da una parte contro l’altra, senza fare mite accompagnamento e, senza riconoscere la buona volontà che anima i fedeli, per farla maturare. Trovo anche incomprensibile l’oblio del Gay pridesul “nostro” giornale, tanto più quando capita sotto casa…
Concludo citando un passo degli Atti degli Apostoli, circa la tensione in seno alla comunità cristiana delle origini, tra cristiani provenienti dal giudaismo, attenti alle antiche prescrizioni alimentari, e cristiani provenienti dal paganesimo che mangiavano invece di tutto. Assunta la strada di un radicale superamento della distinzione tra cibi puri e impuri, ci si è guardati dallo scontro frontale con quanti facevano fatica a fare questo passo. E si è raccomandato allora ai cristiani provenienti dal mondo pagano di non mangiare i cibi sacrificati agli idoli o alle carni soffocate e al sangue, come segno e cura per coloro che si sarebbero scandalizzati per un passo troppo repentino da compiere (At 15, 28-29). Il superamento dei precetti alimentari è avvenuto con gradualità, secondo carità. Mi pare davvero una lezione stupenda: quella cioè di guidare con mitezza il popolo di Dio, compiendo i passi uno alla volta, avendo davanti il grande orizzonte della venuta del Regno.

 

don Claudio Dal Monte
parroco della Malpensata