Danni collaterali: l’economia non è “un mondo a parte”

L’economia italiana sta tirando, nonostante il riscaldamento dei prezzi degli idrocarburi; nonostante le guerre commerciali e i dazi di Trump; nonostante il rafforzamento del dollaro che penalizza certi acquisti (ma favorisce certe esportazioni). Nonostante il nuovo governo?
Ecco, i responsabili politici ed economici del nuovo esecutivo dovranno ben presto prendere decisioni molto importanti; queste condizioneranno pesantemente il trend economico italiano. Il nostro Paese si ritrova a livelli pre-crisi (insomma al 2008) sia per quanto riguarda il Pil che l’occupazione; ci sono territori e distretti industriali che stanno crescendo fortemente; le nostre esportazioni volano un po’ ovunque, trainate da una moneta forte qual è l’euro e dall’innata capacità innovativa e imprenditoriale delle nostre piccole e medie industrie.
Ci vuole poco, però, per far deragliare un treno che, sì, sta correndo in avanti, ma a velocità assai moderata: molte altre economie occidentali stanno andando ad un passo ben più deciso. Fermare determinate infrastrutture strategiche, appesantire i conti pubblici con spese sconsiderate, pagare di più per interessi sul debito pubblico, non seguire con la dovuta attenzione le centinaia di crisi aziendali aperte e che possono evolvere in una maniera o in direzione totalmente opposta, bloccare ogni (timida) riforma del settore pubblico che da noi è vissuto come una zavorra e non come un volàno. Penalizzare un settore bancario che, dopo una lunga e faticosa attraversata del deserto, sta rimacinando utili copiosi e strategie di crescita. Carne da bruciare al fuoco ce n’è molta.
Insomma, chi vivrà vedrà. Ma l’economia non vive in una bolla a se stante rispetto al contesto politico e sociale in cui è immersa. La presunta “neutralità” delle dinamiche economiche nei confronti delle decisioni politiche – concetto tanto caro a molta imprenditoria del Lombardo-Veneto (a Roma giochino pure, basta che non facciano danni) – appunto non regge all’urto dei cosiddetti “danni”. Si pensi solo alla sconsiderata opzione di un’uscita dall’euro impraticabile, se non suicida: guardiamo al G8 o alla Moldavia?
Il solo fatto che ad essere contenti di una simile opzione sarebbero quei Paesi – Germania in primis – che da anni ci “sopportano” e ci considerano la zavorra dell’euro, dovrebbe far capire quasi a pelle quale sia la nostra convenienza. E nessuno avanzi demenziali proposte di decrescite felici e quant’altro mascheri nuove povertà dietro all’incapacità di affrontarle e sconfiggerle.