Il Sessantotto sequestrato. Guido Crainz: nell’Europa dell’Est il crollo del muro di Berlino è iniziato da lì

“Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e dintorni” è il sottotitolo del libro “Il Sessantotto sequestrato” (Donzelli Editore 2018, Collana “Saggine”, pp. 202, 19,50 euro) a cura di Guido Crainz. Il volume che contiene, oltre al saggio introduttivo del curatore, una raccolta di saggi di Pavel Kolář, Wlodek Goldkorn, Nicole Janigro, Anna Bravo, mostra il movimento del Sessantotto, avvenuto cinquant’anni fa, in quell’area dell’Europa dell’Est caduta sotto l’influenza dell’impero sovietico. Anche oltre la Cortina di Ferro i giovani scesero in piazza per migliorare le loro condizioni e per cambiare la società, chiedendo più libertà di espressione e più democrazia. Ma il loro fu un altro Sessantotto, fu un “Sessantotto sequestrato”.
Ne parliamo con Guido Crainz, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Teramo e commentatore del quotidiano “La Repubblica”. Ricordiamo che il testo contiene documenti di studenti e intellettuali di allora e testimonianze di personalità come Jiří Pelikán, Adam Michnik, Zygmunt Bauman.
“Sono stati accolti con manganelli e insulti, messi per il momento in una cella con un poliziotto sull’uscio e un altro in borghese alla finestra”. Prof Crainz, desidera spiegarci il significato del titolo del libro?
«Il titolo del libro è rubato a un famoso intervento dello scrittore, poeta, saggista e drammaturgo cecoslovacco naturalizzato francese Milan Kundera, il quale negli anni Ottanta, quando c’era ancora il comunismo, denunciò l’insensibilità dell’Europa Occidentale nei confronti della Cecoslovacchia, della Polonia e dell’Ungheria. Il titolo dell’articolo era “Un Occidente sequestrato, ovvero la tragedia dell’Europa centrale”, Kundera scriveva: “Noi Cecoslovacchia, Polonia e Ungheria siamo Europa, ma siamo stati sequestrati dall’Unione Sovietica e ignorati dall’Europa Occidentale. Voi ci avete abbandonati. Eppure noi facciamo parte della vostra cultura, ma siccome per l’Europa Occidentale la cultura è sempre meno importante, ci avete abbandonato al nostro dominatore politico”. Alla luce di queste parole non potevo trovare un titolo più significativo. Del resto gli studenti, gli intellettuali e i sostenitori di un “socialismo dal volto umano” non trovarono nei movimenti studenteschi dell’Occidente quel sostegno che invece sarebbe stato necessario. Quello che succede in Cecoslovacchia, in Polonia e in Ungheria è molto più importante di quello che accade durante il mitico Maggio francese o di quello che accade in Italia. Nei Paesi allora dominati dal comunismo il Sessantotto fu uno spartiacque, perché sancì in maniera definitiva che il comunismo non era riformabile e avviò alcuni processi che avrebbero portato alla caduta del Muro di Berlino nel 1989».
Come si sviluppò il ’68 degli studenti cecoslovacchi pensando anche alla Primavera di Praga con il tentativo di Dubček. di superare il “socialismo reale” per creare un “socialismo dal volto umano”?
«Alle origini della Primavera di Praga ci sono le spinte che venivano dagli studenti, dagli scrittori e dagli intellettuali, spinte che erano già iniziate due o tre anni prima. Nel ’67 vi fu la protesta degli studenti praghesi riguardante la richiesta di libertà in un Paese dove lo stalinismo sarebbe durato più a lungo rispetto agli altri Paesi. Il 5 gennaio 1968 iniziava la Primavera di Praga, cioè l’aprirsi di questo periodo di riforme e innovazioni coincise con la salita al potere di Alexander Dubček a capo dell’ala riformista. Sappiamo tutti che nel giro di pochi mesi quest’esperienza fu repressa militarmente dalle truppe dell’Unione Sovietica e degli altri Paesi che aderivano al Patto di Varsavia. Il 16 gennaio 1969 uno studente di filosofia compì un gesto altamente simbolico. Jan Palach si recò in Piazza San Venceslao situata nel centro di Praga e si fermò ai piedi della scalinata del Museo Nazionale. Qui il giovane si cosparse il corpo di benzina e si appiccò il fuoco con un accendino. Palach morì dopo tre giorni di agonia, al suo funerale parteciparono 600mila persone provenienti da tutto il Paese».
È vero che Solidarność ha in qualche modo le sue radici nel ’68 polacco?
«Nella Polonia di Solidarność, che andò al governo alla caduta del comunismo, troviamo un sindacalismo cattolico che ha protagonisti esponenti che aderirono al Sessantotto, come Jacek Kuroń, provenienti dal mondo comunista. C’è una cosa che viene ignorata: la repressione durissima che si scatenò nei confronti del movimento degli studenti polacchi fu condotta all’interno di una campagna che assunse forti toni antisemiti e che portò all’esodo di quasi la metà dei 30mila ebrei rimasti in Polonia dopo la Shoah. Un trauma di proporzioni colossali. Solo la Chiesa cattolica fece sentire la propria voce denunciando gli orrori e le falsità di questa repressione, in particolare il vescovo di Cracovia, Karol Wojtyła che convinse il Primate di Polonia. Quindi nel ’68 vi fu un appello dei vescovi polacchi in difesa della libertà di poter esprimere le proprie opinioni. Era ciò che chiedevano gli studenti polacchi. C’è da dire che c’è ancora molta ignoranza nei confronti del ’68 polacco. Il Sessantotto in Occidente voleva la rivoluzione, nei Paesi dell’Est Europa ci si batteva per la democrazia: in Cecoslovacchia per un socialismo dal volto umano, in Polonia la protesta partì per l’applicazione dell’art. 21 della Costituzione polacca che prevedeva libertà di espressione e di organizzazione. In Occidente invece la democrazia veniva data per scontata».
Nicole Janigro, psicoanalista e saggista, parla di ambiguità e doppiezze del ’68 jugoslavo. Ce ne vuole brevemente parlare?
«In Jugoslavia vediamo convivere tanti elementi opposti, mentre c’era un clima da ’68 europeo allo stesso tempo in quell’anno emersero quelle tendenze nazionaliste che avrebbero portato alle lacerazioni terribili, che avrebbero decretato la fine della Jugoslavia. Queste tensioni nazionalistiche sono presenti anche tra gli studenti di Belgrado che avevano una cultura libertaria».