Ermanno Arrigoni ripercorre pensiero di Gesù secondo il Vangelo di Marco

Con i suoi 662 versetti, quello di Marco è decisamente il più breve dei vangeli canonici: non riporta nulla sulla natività né sulla vita di Gesù nel periodo precedente il battesimo nel Giordano, e nemmeno la preghiera del Padre nostro. Lo stile è semplice – prevale la paratassi, con frasi unite dalla congiunzione “e”-, ma al tempo stesso rivoluzionario rispetto ai modelli della letteratura greca e latina antica (in Mimesis il grande Erich Auerbach sottolineava la novità a livello espressivo del racconto della rinnegazione di Pietro in Mc 14, 66-72: «Tacito e Petronio vogliono renderci sensibili e concreti, l’uno avvenimenti storici, l’altro un certo ceto sociale, e ciò dentro i limiti d’una determinata tradizione estetica. L’autore dell’Evangelo di san Marco non ha questa intenzione e nulla sa di questa tradizione, e quasi senza suo intervento, puramente per un moto intimo di quello che dice, quello che dice appare davanti ai nostri occhi. E ciò che vien detto si rivolge a tutti; ognuno è incitato, anzi costretto a decidersi in favore o contro; anche la sola indifferenza è presa di posizione»). 

Ermanno Arrigoni, nato ad Almenno San Salvatore, docente di Filosofia in pensione – ma ha conseguito anche una laurea e un dottorato in Teologia – si è dedicato con passione allo studio delle pagine del Nuovo Testamento; il suo saggio più recente ha per titolo Il pensiero di Gesù secondo il Vangelo di Marco (Aracne Editrice, pp. 428, 20 euro, disponibile anche in formato PDF a 12 euro) 

«Un insegnante di Filosofia – spiega Arrigoni – è solito esporre ai suoi allievi il pensiero di Aristotele, di Kant e di Heidegger. Mi sono domandato perché non si potesse approfondire e presentare anche il pensiero di Gesù, con tutte le particolarità del caso». 

In un suo famoso libro del 1957, I grandi filosofi, Karl Jaspers annoverava proprio Gesù – insieme a Socrate, Buddha e Confucio – tra le figure decisive per l’intero corso del pensiero umano. 

«Io ritengo che Gesù non possa essere considerato un “filosofo”, in senso tecnico. Tuttavia, è pur vero che alle origini del cristianesimo sono proprio la figura e il messaggio di Gesù, il suo evangelo/buona novella. Partendo da questo assunto, nell’arco di alcuni anni ho scritto tre volumi, tutti editi da Aracne: nel 2014 è uscito Storia e fede: introduzione al pensiero di Gesù, nel 2016 Il pensiero di Gesù secondo la fonte Q (questa lettera – dalla parola tedesca Quelle, “fonte” – è usata dagli studiosi per indicare una prima raccolta di detti di Gesù poi confluiti nei vangeli di Matteo e di Luca). Infine ho pubblicato un terzo saggio in cui prendo in esame appunto il testo di Marco, mostrando come lo si possa leggere a diversi livelli: c’è un approccio “narratologico” che considera la strutturazione del racconto, applicando le stesse categorie che potrebbe usare un critico letterario alle prese, per esempio, con I promessi sposi; c’è poi una prospettiva storica, per cui si indagano gli episodi narrati nel vangelo in rapporto ad altre testimonianze e documenti, e c’è infine un approccio di fede che non può prescindere dalla dimensione della storia ma, al tempo stesso, la supera».

Ecco, proprio riguardo al rapporto tra la fede e la storia: chi già si professa credente che cosa può ricavare, studiando scientificamente come si sono formati gli scritti del Nuovo Testamento? 

«Per chi si professa cattolico, l’insegnamento di Cristo è affidato alla tradizione della Chiesa. Questa tradizione, però, è chiamata a rinnovarsi e soprattutto a verificare ogni volta la sua conformità a quanto prescriveva il Maestro di Nazaret. L’indagine storica su Gesù può aiutarci a liberare la fede dalle incrostazioni che si sono accumulate nel tempo: pensiamo tra l’altro ad alcune forme di devozionalismo “magico” che non hanno alcun fondamento nel vangelo. Pensiamo anche, oggigiorno, a una diffusa schizofrenia tra le convinzioni individuali di fede e i comportamenti che si adottano a livello sociale e politico. Il criterio secondo il quale verranno giudicate le opere degli esseri umani, alla fine dei tempi, è presentato in modo inequivocabile nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo»

È il principio della prossimità e dell’aiuto a chiunque sia «affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere»?

«Esattamente. Sapendo questo, come si può continuare a dirsi cristiani e intanto approvare una politica di chiusura nei riguardi di chi richiede asilo o è costretto a emigrare in cerca di condizioni di vita più dignitose? Intendiamoci, non bisogna cadere nell’integralismo: non sto sostenendo che le leggi dello Stato dovrebbero conformarsi senz’altro agli insegnamenti evangelici. In un società democratica e pluralista la politica deve mediare tra differenti sensibilità e concezioni del mondo. Per chi si professa cristiano, tuttavia, non può non porsi la questione della coerenza tra ciò che egli dice di credere e ciò che poi fa nella vita di ogni giorno».

Tornando al Vangelo di Marco: al centro della predicazione di Gesù è l’annuncio del «regno di Dio». Su questo c’è un consenso pressoché unanime degli studiosi; si è discusso e ancora si discute, invece, su come si debba intendere tale annuncio. 

«È vero: Johannes Weiss e Albert Schweitzer, per esempio, ritenevano che Gesù fosse un predicatore “escatologico”, convinto che la fine dei tempi e la compiuta affermazione della signoria di Dio fossero ormai imminenti. Lo studioso cattolico Gerhard Lohfink ha scritto un libro a mio giudizio molto bello, pubblicato in Italia da Queriniana con il titolo Gesù di Nazaret. Cosa volle – Chi fu. Lohfink sottolinea un’ambivalenza nella concezione del regno di Dio, che è descritto talvolta da Gesù come una realtà già presente, mentre in altri passaggi se ne parla al futuro. Nel corso dei secoli, privilegiando il secondo aspetto, si è immaginato questo regno in chiave puramente ultraterrena, trascurando che esso già si afferma, qui e ora, ogniqualvolta un uomo presta fede alla parole di Gesù: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). La regalità di Dio si manifesta in Gesù, si manifesta nella fede e nell’amore verso i più piccoli tra i nostri fratelli, anche se la sua piena realizzazione sarà nel futuro. Peraltro, non possiamo identificare tout court il regno di Dio già presente nel mondo con la Chiesa. Alla Chiesa appartengono tutti i battezzati, anche coloro che si dichiarano atei, agnostici, o cristiani solo per tradizione familiare. Al regno appartengono invece tutti coloro che riconoscono la sovranità di Dio attraverso la conoscenza e la pratica del vangelo di Gesù, dal momento che è Gesù ad avere rivelato il volto del Padre e la sua volontà».