Fabrizio Pugliese racconta in scena la transumanza: la rassegna deSidera ad Almè, Romano e Corna Imagna

Uno spettacolo per raccontare la transumanza. È la proposta singolare e interessante della rassegna deSidera Festival per questa settimana, promossa in collaborazione con Associazione Culturàlmente e Parrocchia di Almè, Comune di Romano di Lombardia e Parco del Serio, Centro Studi Valle Imagna Ca’ Berizzi. L0 spettacolo “Transumanze” è scritto e raccontato da Fabrizio Pugliese con la collaborazione artistica di Fabrizio Saccomanno, e va in scena giovedì 19 luglio alle 21,15 ad Almè, Villa Carnazzi (in via San Michele). Dopo lo spettacolo verranno offerti formaggi da Casera Martinelli. Venerdì 20 luglio, alle 21.15 appuntamento a Romano all’orto botanico Longhi (loc. Pascolo). Prima dello spettacolo verrà offerto un percorso di degustazione guidata offerto da ONAF (Assaggiatori formaggi) e da DABB (distretto agricolo Bassa Bergamasca). La data è inserita nella rassegna Vediamoci Sul Serio. Ultima occasione, infine, sabato 21 luglio alle 21,15 a Corna Imagna, a Ca’ Berizzi Bibliosteria, via Regorda 7. Ca’ Berizzi offre la possibilità di cenare alle 19.30 con degustazione di formaggi, vino, dolce e caffè (20 euro, prenotazione a 035 19961488, o info@caberizzi.it).
La rassegna deSidera prosegue così nell’intento di valorizzazione luoghi e caratteri del nostro territorio. “Questo fine settimana – spiegano i promotori – invitiamo il pubblico ad interrogarsi sul valore culturale, storico, ambientale ed antropologico della Transumanza, pratica di migrazione stagionale di greggi, mandrie e pastori in differenti zone climatiche lungo le vie semi-naturali dei tratturi. Lo facciamo proponendo l’ascolto delle storie di un attore pugliese, Fabrizio Pugliese, che negli ultimi anni ha raccolto storie sulle antiche vie della transumanza, riscoprendone un fascino senza tempo. La pratica della Transumanza, che rinnova ogni anno il profondo legame tra uomo, prodotto e paesaggio, è stata candidata (da marzo 2018) dall’Italia a Patrimonio Unesco dell’Umanità, una ricchezza tenuta in piedi da 60 mila allevamenti che ora cerca riconoscimento internazionale per la sua tradizione che lega comunità e territorio”.

“Tempo fa – scrive Pugliese – un pastore silano mi diceva : “come faccio a fare il latte ‘bianco all’origine’ se le mucche mangiano erbe e fiori di tutti i tipi, non sarà mai bianco, e che c’è di male se il mio formaggio in primavera ha un sapore e in autunno un altro, il pascolo è diverso…. Che io questo formaggio non potrei nemmeno venderlo….” Chiaramente il tutto in un colorito dialetto. Poi comincio ad informarmi e scopro che gli stessi problemi ci sono lungo l’Appennino centrale come sulle Alpi, che gli antichi tratturi, le vie della transumanza, proprio perché non tracciati ufficialmente, si fa fatica a proteggerli dalla speculazione edilizia. E ancora, cercando su internet, cosa ormai abituale per raccogliere notizie alla rinfusa, leggo alcune definizioni di transumanza tipo :‘complesso delle migrazioni stagionali di animali di grossa e media taglia… percorrono particolari vie naturali (tratturi) condottivi dall’uomo nelle regioni a economia poco sviluppata, trasportate su strade ordinarie con appositi autocarri nelle regioni più sviluppate (?) .. ma quello è trasporto bestiame, trasporto merce! Per non parlare dell’etimologia! Su un sito si legge addirittura: T. dal francese Transumance…!! Solo sui ‘vecchi’ vocabolari cartacei si riporta l’origine latina del nome, da humus, terra, transitare da una terra ad un’altra…. Da questi spunti nasce l’idea, a partire da una storia semplice, che è poi un insieme di piccoli racconti raccolti in diverse aree geografiche e compattati in una storia unica, di parlare di un presente incapace di capire la bellezza della diversità culturale, una diversità economica e sociale che sembra infastidire invece che arricchire.

In fondo quale danno potranno mai fare i pochi pastori residui che praticano la transumanza alle grandi industrie….. o forse il fatto stesso che esista un modello alternativo può di per se infastidire….
Un viaggio dalle montagne a valle, durante il quale un gruppo di pastori, da sempre abituati alla normalità del loro transumare, cominceranno ad incontrare ostacoli inaspettati, ostacoli fisici (tratturi invasi da ruspe) e ostacoli morali (diffidenza e disprezzo). Il punto di vista è quello di un ragazzo, il più giovane dei pastori, già portatore di una diversità all’interno del gruppo perché amante dei libri e dello studio, ma non per questo emarginato dai suoi compagni di viaggio, magari preso in giro, non capito, ma mai disprezzato…. lo scontro avviene quando questo suo sfuggire al cliché del ‘pecoraro’ ignorante, rozzo, entra in contatto con quel mondo che proprio nel nome della modernità tende ad emarginare e azzerare la diversità. Eppure dall’etimologia della parola transumanza siamo partiti: ‘transitare da una terra all’altra…’ senza divieti, aggiungiamo noi, che la nostra idea parte proprio da alcuni divieti, cavilli, norme sanitarie, strani piani edilizi che cancellano i tratturi, così che la transumanza viene ostacolata e sfavorita, e potremmo andare avanti, ma noi facciamo teatro, e per di più questo teatro ha il suo climax drammatico in una storia piccola, un giovane pastore che ridiscende un fiume in piena abbracciato al suo agnellino, che in quel fiume ci era scivolato; che durante la transumanza qualche animale può anche morire, si può perdere, succede! Ma il primo pensiero di un pastore è cercare di salvarlo l’animale, perché uomo e animale transumano assieme…perché transumanza e migrazione suonano accordi simili….
Attorno a questo semplice evento drammatico, collocato in un luogo e in un tempo non ben definiti, si dipana il racconto attorno alle tematiche sopra accennate, senza mai scadere nel comizio, senza mai esprimere giudizi lapidari.

Nel nostro racconto la transumanza assume un valore epico e simbolico di possibile strada da percorrere per arginare il degrado sociale e ambientale che i grandi poteri, economico e politico, non riescono, o non vogliono, arginare.In scena un attore e una chitarra, seguendo lo stile dei cantastorie, con quel modo di intrecciare racconto, musica e canto capace di spostare il piano narrativo su uno stile ‘epico’, e poi l’uso di una lingua italiana sporcata da accenti dialettali, un lavoro a metà tra il ‘cunto’ della tradizione orale, da cui attinge modi e stili narrativi e l’orazione civile, con la particolarità che lo spettacolo può essere rappresentato sia su palco che in strada: non solo il pubblico che ‘sceglie’ di andare a teatro, ma anche la comunità che si raccoglie attorno al cantastorie per ascoltare e discutere, …magari….

Crediamo che il racconto del cantastorie, quando si lega al racconto stesso della vita quotidiana, ai problemi del presente e alle speranze del futuro, diventi un atto creativo della contemporaneità e non uno sterile culto di un passato da idealizzare. Le tradizioni si compiono nel futuro, servono a ‘tirare avanti’, non a ‘voltarsi indietro’”.