Divisi tra dovere di ospitalità e xenofobia. La lettera: “Non è possibile essere cristiani e rifiutare gli immigrati”

E’ Xenia l’antica parola greca che indica il concetto di ospitalità, sacro e protetto da Zeus. Quando uno straniero si presentava alla porta, il padrone di casa non poteva rifiutarsi di riceverlo senza incorrere nell’ira degli Dei. Oggi quella parola (addirittura pre-cristiana) si rivela utile per mostrarci quanto l’accoglienza sia un valore profondamente inscritto nelle nostre radici culturali, presente nella civiltà occidentale fin dalla culla.
La ritroviamo però inglobata in un altro termine – ultimamente molto più di moda – che ha un significato opposto: xeno-fobia, la paura dello straniero, dell’ospite, all’origine di un’ondata emotiva che si diffonde per osmosi – alimentata spesso da fake news confezionate ad arte – contagiando tutti gli ambiti della società, dai bar di paese ai commenti sui social network. Gli esperti di comunicazione sanno che ci sono tecniche efficaci (i marketer di oggi attingono ancora agli archetipi della psicologia junghiana) per attivare le emozioni del pubblico e agire sull’inconscio della persona. La rabbia e la paura sono due leve molto forti, e possono scatenare conseguenze imprevedibili, e in questo ambito c’è chi le utilizza a piene mani, senza preoccuparsi di ciò che ne nasce. Anche per questo ci sembrano necessari, in questo momento, un segnale, una reazione forte, al di là delle polemiche politiche. Un segnale e una reazione che tocchino l’umanità delle persone, la cultura, i valori, l’identità, il senso di appartenenza. Quanto mai opportuna arriva in questo contesto la richiesta avanzata da alcuni settori del mondo cattolico attraverso una lettera aperta indirizzata al cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, e a tutti i vescovi delle diocesi d’Italia. La lettera sollecita una riflessione “su quanto sta attraversando, dal punto di vista culturale, il nostro Paese e l’intera Europa. Cresce sempre di più una cultura con marcati elementi di rifiuto, paura degli stranieri, razzismo, xenofobia; cultura avvallata e diffusa perfino da rappresentanti di istituzioni”. Il problema non riguarda soltanto la collocazione dei migranti, argomento sempre molto caldo, ma l’atteggiamento stesso dei fedeli: “Sono diversi a pensare che è possibile essere cristiani e, al tempo stesso, rifiutare o maltrattare gli immigrati, denigrare chi ha meno o chi viene da lontano, sfruttare il loro lavoro ed emarginarli in contesti degradati e degradanti. Non mancano, inoltre, le strumentalizzazioni della fede cristiana con l’uso di simboli religiosi come il crocifisso o il rosario o versetti della Scrittura, a volte blasfemo o offensivo”. Tra i firmatari della lettera si trovano parroci, teologi, monaci, direttori di uffici diocesani o delle Caritas, autorevoli esponenti del laicato cattolico, intellettuali, responsabili di associazioni e movimenti, religiosi di diverse congregazioni. Insieme lamentano che “restano ancora poche le voci di Pastori che ricordano profeticamente cosa vuol dire essere fedeli al Signore nel nostro contesto culturale, iniziando dall’inconciliabilità profonda tra razzismo e cristianesimo”. E chiedono dunque alla Chiesa un segnale forte: “Un vostro intervento, in materia, chiaro e in sintonia con il magistero di papa Francesco, potrebbe servire a dissipare i dubbi e a chiarire da che parte il cristiano deve essere, sempre e comunque, come il Vangelo ricorda. Come ci insegnate nulla ci può fermare in questo impegno profetico: né la paura di essere fraintesi o collocati politicamente, né la paura di perdere privilegi economici o subire forme di rifiuto o esclusione ecclesiale e civile”. La lettera si chiude ricordando i molti interventi concreti attuati dal mondo cattolico per i poveri e gli immigrati: “E’ così grande lo sforzo delle nostre Chiese nel soccorrere e assistere gli ultimi, attraverso le varie strutture e opere caritative. Oggi riteniamo che l’urgenza non sia solo quella degli interventi concreti ma anche l’annunciare, con i mezzi di cui disponiamo, che la dignità degli immigrati, dei poveri e degli ultimi per noi è sacrosanta perché con essi il Cristo si identifica e, al tempo stesso, essa è cardine della nostra comunità civile che deve crescere in tutte le forme di “solidarietà politica, economica e sociale” (Art. 2 della Costituzione)”. Un invito a chiedersi, al di là dei muri, delle polemiche sterili, delle appartenenze ideologiche, chi siamo e chi vogliamo essere, ricordando che prima di tutto vengono il rispetto e la dignità delle persone. Anche nelle piccole cose: nelle relazioni quotidiane, nelle parole, nel “tono di voce” che si sceglie per esprimere le proprie (sacrosante) opinioni.

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