“Venite in disparte”. Il senso bello delle vacanze

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare (Vedi Vangelo di Marco 6, 30-34)

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Con questo brano inizia quella parte del vangelo di Marco che si chiama “sezione dei pani”. Per quasi due capitoli l’evangelista parla spesso di temi relativi al pane, al cibo, al mangiare…

“Riposatevi un po’”

Gesù sceglie e manda, in nome suo. Manda gli “apostoli”, cioè gli “inviati” (il termine “apostoli” ricorre solo in questo passaggio del vangelo di Marco). Questi vanno e poi tornano e riferiscono tutto quello che hanno fatto e insegnato. Non è l’esigenza di riferire a un superiore, un’esigenza d’ordine. È qualche cosa di più impegnativo: Gesù rimane al centro di tutte le attività degli apostoli ed è per questo che gli apostoli, tornando, devono riferire a lui. Gesù li invita a stare per un po’ “in disparte”. L’espressione “in disparte” si trova in momenti particolari, importanti e difficili, del vangelo. Qui siamo tra la prima parte del ministero di Gesù e la moltiplicazione dei pani che porrà seri interrogativi a tutti i discepoli circa la persona di Gesù e creerà molte rischiose aspettative attorno a lui. Si ritirano, dunque, in un “luogo solitario”. Il termine greco significa anche “deserto”, il luogo in cui Israele incontra Dio, durante il peregrinare verso la Terra Promessa. Lì  Gesù e i suoi possono riposarsi un po’. Non è solo riposo fisico, ma intimità con Gesù, familiarità con lui.

Ma l’intimità non è possibile. Molta gente cerca Gesù, lo assedia. È probabile che Marco accenni qui alle attese che poi esploderanno con la moltiplicazione dei pani: alcuni pensano a un Messia politico, altri a un Messia militare. Di fronte a tutte queste attese Gesù reagirà duramente. Ma non si irrita per questo fraintendimento. Lo guarda anzi con comprensione, con paterna comprensione. Si commuove per la gente perché gli appare come un gregge senza pastore. Non è un’immagine peregrina, come sappiamo. Nel V. T. spesso Israele è paragonato a un gregge che è guidato o direttamente da Dio (salmo 23, e salmo 78, 52), oppure da pastori che Dio ha posto a capo: Mosè (salmo 77, 21), Davide (salmo 78, 70-72)… Qui Gesù si rivela il vero pastore di Israele.

A conclusione Marco dice che Gesù insegnava molte cose. Insiste ancora una volta sul fatto che Gesù insegna senza precisare il contenuto. Qui si vuole dire non solo l’abbondanza di quello che Gesù dice ma anche la sete della gente che desidera ascoltare. La folla “senza pastore”, affamata trova il cibo: la Parola.

Festa e feria

Il riposare “con il Signore”. Da ricordare il ritornello che il libro della Genesi: “e fu sera e fu mattino: primo giorno… E fu sera e fu mattino: secondo giorno…”. Poi, al settimo giorno, Dio si riposa. Ma quel giorno, il settimo, è il giorno più pieno perché tutto “preso”, occupato dal Creatore. Per questo, il giorno di festa, il settimo, dà significato a tutti i sei giorni di lavoro che l’hanno preceduto.

Il Signore, dunque, dà senso a tutto, al nostro lavorare e al nostro riposare. Anzi il riposo è per eccellenza, il tempo del Signore, dedicato a Lui, riservato alla scoperta di Lui. E il cristiano dovrebbe essere capace di “insegnare” il senso alto della festa. Non basta non fare nulla, ma essere liberi per capire il senso di tutto. La festa è molto più della feria. “Nel tempo libero, l’uomo impara la contemplazione. Attraverso il riposo, il gioco, la festa, il viaggio, gli incontri, si prepara a incontrare Dio… La nostalgia delle sere di festa, il cristiano la comprende meglio di chiunque, perché sa ciò che il suo cuore cerca attraverso il tempo libero” (P. Lintanf).