Pregare ad Auschwitz

Sono stato, recentemente, a un viaggio in Polonia. Abbiamo visitato il campo di sterminio di Auschwitz. Ho tentato di pregare ma la preghiera mi si è strozzata in gola. Come si fa a pregare di fronte a una simile virulenza del male? Giorgio.

Non è facile visitare quei luoghi di efferata crudeltà e rimanere indifferenti, caro Giorgio! Che dire di fronte a tanto male assurdo e innocente se non sostare in silenzio, invocando pietà e perdono dal cielo? Le preghiere, anche le più sante, sembrano soffocare nel petto, mentre un nodo alla gola ci stringe e ci attanaglia.

Come “stare” in quei luoghi di martirio?

L’atteggiamento giusto ce lo insegna il vescovo di Roma nella storica visita proprio ad Auschwitz il 26 luglio 2016, durante la giornata mondiale della gioventù in Polonia.

Vorrei riproportela, come narrata nelle cronache delle comunicazioni:

Il Papa ha varcato l’ingresso da solo, a piedi, con il capo chino e in silenzio. (…) Francesco si è poi seduto, sempre da solo e sempre in silenzio, su una panchina di fronte alle camerate dove erano reclusi gli internati, dove è rimasto per oltre un quarto d’ora assorto, a tratti con gli occhi chiusi, a mani giunte in grembo.

Prima di riprendere il percorso, a bordo di una piccola vettura aperta, Francesco si è avvicinato ad una forca in ferro dove venivano impiccati i prigionieri e ha baciato uno dei pali”. Poi, dopo aver sostato in silenzio nella cella dove morì san Massimiliano Maria Kolbe, il pontefice ha posto sul libro d’oro del campo di sterminio, un’invocazione: “Signore abbi pietà del tuo popolo, abbi pietà di tanta crudeltà”.

L’atteggiamento di papa Francesco ha caratteristiche tutte penitenziali: capo chino, silenzio e richiesta di perdono per tutto il popolo.

In comunione con l’unico e grande pontefice Gesù Cristo, egli innalza al Padre la sua accorata invocazione di salvezza per tutto il mondo.

“Perdona, Padre, perché non sappiamo che cosa abbiamo fatto”

Da quel silenzio, che sembra assordante, si sprigiona, in tal modo, una preghiera simile a un gemito che, dal profondo dei nostri inferi, come quel Venerdì di Passione sul Golgota, sale sino a cielo: “Perdonaci, Padre, perché non sappiamo quello che abbiamo fatto.

Sì! Perdonaci tutti, perché ciascuno di noi, quando entra in dialettica con il male sino ad assumerne, nelle piccole vicende quotidiane, le medesime logiche di morte, ha la sua parte di responsabilità.

Che altro chiedere di più al cielo in quei luoghi bagnati e santificati dal sangue di tanti fratelli?

Quale altra preghiera e quale altro atteggiamento, se non il silenzio del cuore, è così fecondo ed eloquente per sé e per tutta l’umanità?