Palermo, il quartiere di Brancaccio è pronto ad accogliere Papa Francesco. Un omaggio a Pino Puglisi, prete antimafia

Papa Francesco si recherà in Sicilia il 15 settembre, dove visiterà le Chiese di Palermo e Piazza Armerina, proprio in occasione del 25° anniversario del martirio di don Giuseppe Puglisi. Il parroco del quartiere palermitano di Brancaccio fu ucciso da Cosa Nostra il giorno del suo 56° compleanno a causa del suo costante impegno evangelico e sociale. Quello di Bergoglio sarà un vero e proprio omaggio nei confronti di don Puglisi, proclamato beato il 25 maggio del 2013.

Il Santo Padre visiterà i luoghi del prete antimafia, da Lui definito “un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo vissuto, li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto con Cristo risorto”.

Attilio Bolzoni, giornalista del quotidiano “La Repubblica”, dove si occupa da più di trent’anni di Sicilia e mafia in particolare, da noi intervistato ricorda la figura esemplare di don Puglisi, assassinato dai Corleonesi con un colpo di pistola alla nuca.

Don Pino Puglisi recuperava dalla strada ragazzi e bambini che, senza il suo aiuto sarebbero finiti in mano alla mafia per essere impiegati in piccole rapine e spaccio. È stato questo il motivo per il quale Puglisi fu ucciso e i suoi assassini sono stati mai catturati?

«Sì, i suoi assassini sono stati catturati. Don Pino era un sacerdote che senza proclami, senza parole verbose, senza propaganda e senza retorica faceva un lavoro straordinario ogni giorno. Questo lavoro don Puglisi l’ha fatto per anni in un territorio difficile, il quartiere di Brancaccio, dove c’erano “i signori del terrore” i fratelli Graviano che avevano poteri di vita e di morte su tutti, su decine di migliaia di persone. Quel sacerdote per i capi della mafia di Brancaccio rappresentava una mina vagante, un pericolo, perché incideva ogni giorno nella cultura e nelle coscienze delle persone».

“Un omicidio terribile, l’eliminazione di un prete antimafia che è un segnale per tutti. Un messaggio per la chiesa, per lo Stato, per tutti i centomila abitanti di Brancaccio e di Settecannoli”. Così scriveva nel Suo articolo su “La Repubblica” del 16 settembre 1993. Quel “segnale” fu accolto a Palermo e a Roma?
«Sì, quel segnale fu accolto. L’uccisione di don Pino fu un segnale sia a livello locale sia nazionale a tutta la Chiesa. Vorrei precisare che don Pino non era un prete antimafia, perché non ci sono preti antimafia come non ci sono giornalisti antimafia e come, in un certo senso, non ci sono nemmeno magistrati antimafia. Alla fine degli anni Settanta lavoravo per il quotidiano “L’Ora”, considerato un giornale antimafia ma non lo era, pubblicava le notizie, anche le più scomode, perché gli altri stavano zitti. “L’Ora” era un giornale “vero”. Puglisi era solo un prete “vero”, che faceva fino in fondo il proprio lavoro. Don Pino portava avanti fino in fondo la sua missione con i ragazzi che è il pericolo più grosso per la mafia, cioè formare culturalmente le persone e dare dei modelli diversi con i comportamenti quotidiani. Ricordo l’urlo disperato lanciato mesi prima della morte di Puglisi da Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi: “Convertitevi!”. Dall’anatema di Wojtyla, era il 9 maggio 1983, sono trascorsi venticinque anni. Inoltre nella primavera del 1993 esplosero due bombe danneggiando gravemente la chiesa di San Giorgio al Velabro e la basilica di San Giovanni in Laterano, un segnale della mafia alla Chiesa».

“Era un prete che faceva il suo dovere… c’è un imbarbarimento, l’hanno minacciato… ”, disse il Cardinale Pappalardo quando arrivò a Brancaccio la sera dell’omicidio. Don Pino si aspettava di essere assassinato?

«Secondo me sì, proprio a causa del suo lavoro così completo e così profondo. Uno dei due killer che lo uccise, ora pentito e collaboratore di giustizia, raccontò che quando lui e un altro assassino si avvicinarono a don Pino fingendo una rapina, Puglisi sorrise perché aveva capito esattamente ciò che stava accadendo. Non era una rapina ma un agguato di mafia».

Nella fiction di Rai 1 “La mafia uccide solo d’estate” appare l’ambigua figura di Fra Giacinto, personaggio interpretato da Nino Frassica, colluso con il potere mafioso. Nella realtà invece qual è stato negli anni il rapporto tra mafia e Chiesa?  

«Qual è stato e qual è ancora! La Chiesa ha sempre mostrato due facce nei confronti della mafia. La vicinanza a questi ambienti mafiosi da una parte e dall’altra la rivolta contro questi stessi ambienti. Preti che si sono schierati a favore dei boss dei loro paesi e sacerdoti come don Pino, e sono tanti, che hanno cercato in tutti i modi di far capire alla loro comunità che la mafia andava combattuta quotidianamente. Le prime manifestazioni di rivolta contro la cultura e la violenza mafiosa sono state a pochi chilometri da Brancaccio nella zona chiamata “il triangolo della morte” alla fine degli anni Settanta. Sacerdoti che fecero le prime manifestazioni contro la mafia. Fu quello un primo segnale di rottura dentro una Chiesa che con la mafia aveva convissuto. Poi ci fu la famosa omelia del cardinale Pappalardo nel settembre del 1982 ai funerali del generale Dalla Chiesa. Nel corso degli anni una parte sempre più consistente della Chiesa ha preso le distanze dalle organizzazioni mafiose».

Quanto è importante in quest’ambiente la visita del Pontefice?

«È decisiva. Il fatto che Bergoglio arriva a settembre sul luogo dove è stato ucciso don Puglisi è un segnale estremamente forte e che potrà servire tanto».

La mafia comanda sempre a Palermo?

«A Palermo la mafia comanda sempre. È una mafia che è tornata alla sua origine, cioè si è riappropriata della sua natura, non usa il linguaggio della violenza e delle armi ma usa le armi che ha sempre avuto. Cerca di trattare con gli apparati dello stato con la finanza e con l’imprenditoria. Silenziosa, profumata, pettinata e alcune volte politicamente corretta».