Il Sinodo dei giovani visto da Bergamo. La pastorale giovanile è un compito di tutta la comunità

«Il Sinodo dei giovani è un’occasione per restituire significato a una tradizione ricca e vivace, costruire collaborazioni e reti – all’interno e all’esterno della Chiesa – ridare slancio alla passione educativa, diffondere la consapevolezza che la pastorale giovanile è un compito dell’intera comunità cristiana, nessuno può chiamarsi fuori». I lavori si sono aperti il 3 ottobre e don Emanuele Poletti, direttore dell’ufficio diocesano per la pastorale dell’età evolutiva (Upee), fa il punto su attese e speranze che accompagnano il lavoro dei trecento padri sinodali riuniti a Roma da ogni parte del mondo.

Il Sinodo dei giovani è stato preceduto da un lungo cammino di preparazione. Quali sono stati i primi frutti?
Qualcuno sostiene che raccogliendo le risposte all’indagine di ascolto della condizione giovanile condotta in tutto il mondo siano state prodotte oltre 110 mila pagine. E’ stato un lavoro lungo e meticoloso, e con questa grande abbondanza di dati, immagini e suggestioni non dev’essere stato facile compiere la sintesi da cui è scaturito l’”Instrumentum laboris”, il documento consegnato ai vescovi. Leggendolo si ha davvero l’impressione che contenga un metodo di lavoro prezioso per chiunque si occupi di pastorale giovanile. Le questioni sollevate sono moltissime e complesse, da affrontare con un respiro universale, tenendo conto di situazioni molto diverse. Un conto, per esempio, è sollevare la questione di Dio in Occidente e un conto è sollevarla in Asia, in Sudamerica o in Africa. Sarà un compito impegnativo.

Quali sono le sfide e le attese più importanti, se partiamo dall’osservatorio della nostra diocesi?
Le realtà bergamasche e lombarde dal punto di vista della pastorale giovanile sono sempre state molto vivaci, molto ricche di possibilità. Prima di tutto ci auguriamo che il Sinodo ci aiuti a ridare significato e a rilanciare la tradizione da cui proveniamo, comprese le esperienze, diffuse capillarmente, delle scuole cattoliche, custodendo l’ispirazione originaria, quella di prendersi cura delle giovani generazioni. Ci attendiamo poi nuovi stimoli e strumenti per rafforzare reti e collaborazioni. La società di oggi è complessa e cambia velocemente, non è possibile affrontarla efficacemente da soli: occorre lavorare in squadra. C’è bisogno di una pastorale integrata all’interno della Chiesa, in cui i diversi ambiti imparino a lavorare insieme, come indica già l’instrumentum laboris parlando per esempio di pastorale giovanile e vocazionale, ma potremmo aggiungere anche altri settori, come quello caritativo, sociale, missionario. I giovani si muovono in una cultura contaminata e meticcia, in cui i confini che noi abbiamo tracciato spesso non hanno più significato.

In questo contesto quale può essere il ruolo degli educatori degli oratori e delle comunità parrocchiali?
“Da più parti nell’instrumentum laboris si denuncia che i giovani non si sentono accolti, non avvertono interesse e disponibilità nei loro confronti da parte degli adulti, dentro e fuori dalla Chiesa. Nei nostri territori – un po’ in controtendenza – si sente ancora una forte passione educativa, sia in ambito ecclesiale sia civile. Anche da noi, però, c’è una certa tendenza a delegare questo compito a chi è capace, ha più tempo e competenze. Il Sinodo è chiamato ora a smascherare questo alibi per dire con chiarezza e con rinnovata energia che la pastorale giovanile riguarda l’intera comunità cristiana. Nessuno può chiamarsi fuori”.

I dati raccolti in diocesi in preparazione al Sinodo parlano di una limitata partecipazione dei giovani alla vita delle comunità cristiane: soltanto il due per cento sarebbe coinvolto attivamente. A questa realtà, che ovviamente non riguarda solo Bergamo, come risponderà il Sinodo?
Ci sono in gioco questioni profonde che riguardano la fede: una dimensione considerata relativa e sempre più relegata nella sfera privata. Sembra che la cultura contemporanea possa fare a meno di Dio, anche se non rinuncia alla spiritualità, che assume forme diverse. Nella società Occidentale in particolare, molto individualista e autoreferenziale, tutto ciò che implica relazioni e attenzioni nei confronti dell’altro crea problemi e preoccupazioni. Come ha messo in evidenza anche la ricerca condotta sul nostro territorio con il progetto Young’s c’è una trasformazione antropologica in atto, è in discussione l’idea stessa di uomo. Categorie come quelle di coscienza, di libertà, di identità, di desiderio rischiano di non trovare più un terreno in cui affondare le radici. Di sicuro è necessario scavare e andare un po’ più a fondo per individuare nuove strade.

Nella nostra diocesi sono previste iniziative in coincidenza con il Sinodo?

Ci ritroveremo il 21 ottobre a Longuelo per un incontro di ringraziamento della bella esperienza del pellegrinaggio da Ortona a Roma che abbiamo vissuto con il vescovo Francesco Beschi durante l’estate. Il 10 novembre, invece, pochi giorni dopo la chiusura, è in programma un convegno per tirare le fila del progetto Young’s condotto con l’Università di Bergamo che ci aiuterà ad approfondire i temi legati al Sinodo, in particolare quelli antropologici. Siamo partiti con l’intenzione di ascoltare e riconoscere i giovani là dove sono, e questa azione ci ha portato a chiederci che idea di uomo hanno questi giovani, come la incarnano, che cosa ci dice Dio attraverso questi cambiamenti in atto. Ci saranno poi dei “focus group” sul territorio per riflettere sulla presenza e sul coinvolgimento dei giovani nelle parrocchie. Ci piacerebbe che queste riflessioni coinvolgessero gli adulti delle comunità cristiane, con la disponibilità a lasciarsi provocare. Finito il Sinodo, a primavera, arriverà l’esortazione finale con nuove indicazioni che potranno essere usate anche sul territorio, per rivedere se necessario le nostre pratiche pastorali”.

Dall’anno scorso la nostra diocesi sta lavorando intensamente sul tema della pastorale giovanile.

Le lettere pastorali del vescovo propongono alle comunità cristiane tre anni di lavoro sul tema dei giovani. L’anno scorso ci siamo concentrati soprattutto sull’ascolto della realtà giovanile, quest’anno sullo sguardo generativo e sull’interpretazione di questa realtà, l’anno prossimo sarà dedicato alla progettazione e alle scelte più concrete. Anche il lavoro che la nostra diocesi sta compiendo mostra come il Sinodo segni l’inizio di un lavoro che proseguirà a lungo. L’operazione di ascolto e di riconoscimento che abbiamo condotto l’anno scorso non è stata facile, perché non sempre è facile incrociare i giovani. Anche questo ci fa riflettere: se i giovani non ci sono non è per indolenza, pigrizia e superficialità. Può essere che a volte queste componenti giochino un ruolo, ma forse la verità è che non riusciamo ad offrire loro qualcosa di veramente significativo, e questa è una provocazione forte. Tocca a noi chinarci e collocarci dove loro sono e passano, capire di che cosa hanno bisogno, tornare ad essere una presenza significativa.