Il cieco di Gerico. L’incredibile dramma della parola che invoca e della parola che libera

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (Vedi Vangelo di Marco 10, 46-52).

Per leggere i testi liturgici di domenica 28 ottobre, trentesima del Tempo Ordinario “B”, clicca qui.

Come una straordinaria azione da teatro

Il racconto comincia con delle coordinate precise. Si dice che siamo a Gerico, la città che giace nella grande depressione del Mar Morto (ci ricordiamo l’incipit famoso della parabola del Buon Samaritano: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…”. Scendeva, appunto); si presenta Gesù che “partiva da Gerico”; poi si presenta il protagonista: si chiama Bartimeo ed è figlio di Timeo. È cieco e fa il mendicante. Sembra la presentazione di una pièce teatrale: i personaggi, il luogo. Come se si dicesse: l’azione si svolge a Gerico. Personaggi e interpreti: Gesù, Bartimeo, la folla.

La parola diventa azione

E, in effetti, su questo scenario da teatro, ha luogo l’azione. Di azione si tratta, infatti. Ma, come in tutti i drammi che si rispettano, tutto comincia dalla parola. Bartimeo “sente” che sta passando Gesù. Se sente è perché, evidentemente, qualcuno glielo ha detto. Alla parola che gli ha annunciato che sta passando Gesù, Bartimeo reagisce con la sua parola, gridata, pesante: aggredisce in qualche modo Gesù implorandogli pietà. Ma la pietà che il cieco chiede non può essere una pietà qualsiasi perché Bartimeo apostrofa Gesù  con il titolo impegnativo, messianico, di “Figlio di Davide”. Entra in scena la folla che, alla parola gridata del cieco, oppone l’ingiunzione di tacere: “Molti lo rimproveravano perché tacesse”. Ma di fronte all’ordine della folla Bartimeo,  gridando ancora più forte, ripete la sua invocazione: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. La parola vince il silenzio, in qualche modo. E infatti Gesù si ferma e dice a chi gli sta intorno di chiamare Bartimeo. La folla che prima parlava per non far parlare adesso parla per far avviare l’inattesa sorprendente azione. Bartimeo, infatti, getta via il mantello, balza in piedi si avvicina a Gesù. A quel punto l’azione precipitosa del cieco si ferma di fronte alla parola semplicissima di Gesù. In effetti, il dialogo fra Gesù e Bartimeo è essenziale, asciutto, scontato, quasi. O meglio scontato da parte di Gesù che chiede al cieco il perché di tutto quel gridare: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. Ma per niente scontato dalla parte di Bartimeo che chiede una cosa grande come una montagna: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. Solo che una domanda così colossale ha una risposta semplissima e disarmante come il sorriso di un bambino:  “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Una parola così semplice produce un’azione così inattesa, enorme, sorprendente: “E subito vide di nuovo”. Davvero la parola è azione, di una forza divinamente inspiegabile.

Ma alla fine l’ultima sorpresa. Gesù dice a Bartimeo: “Va”. Ma Bartimeo non va: “lo seguiva lungo la strada”, dice il testo. Resta con il Signore, va con lui. La parola forte che gli ha ridato la vita lo cattura, in qualche modo: diventa compagno di strada del Figlio di Davide. Prima lo ha invocato. Adesso lo segue.

La paralisi del cieco e la nostra

Affascinante il tema della Parola che fa muovere il cieco e, soprattutto, gli ridà la vista. Il cieco non è solo cieco, è anche paralizzato: seduto, imbacuccato, deprivato della sua umanità. Possiamo giocare su questi simboli e ripensare a tutte le nostre paralisi, le nostre difficoltà ad ascoltare, la folla che diventa ostacolo, la folla che può diventare tramite per un incontro… Ma, particolare importante, Gesù può parlare al cieco, chiedergli che cosa vuole, liberarlo perché, prima, il cieco ha gridato verso di lui. La misericordia ascolta la nostra voce ma la nostra voce deve innalzarsi verso di lui.