Beppe Grillo e l’Asperger: quando le parole (sbagliate) pesano come pietre

È ora di cominciare a prendere confidenza con le parole, diceva Carmelo Bene. Un monito, quello del compianto drammaturgo che, in questi ultimi giorni di ottobre, assume quasi i caratteri di una triste profezia. Perché nel nostro Paese, da mesi fagocitato da una sorta di guerra civile ideologica, di confidenza con le parole se ne è quasi persa traccia. L’ultimo a darne prova è stato Beppe Grillo, che, domenica 21 ottobre, al Circo Massimo, ha chiuso la kermesse romana di «Italia 5 stelle» con un discorso che ha fatto sussultare più di un cittadino. I fatti sono ormai noti: il fondatore del Movimento 5 stelle ha ironizzato sui «filosofi in televisione» che, proprio in virtù della loro presunta distanza dalla realtà, sarebbero, secondo il comico, affetti da sindrome di Asperger. «L’autismo è la malattia del secolo – ha tuonato dal palco Grillo –. L’autismo non lo riconosci, per esempio è la sindrome di Asperger, è pieno di questi filosofi in televisione che hanno la sindrome di Asperger. Che è quella sindrome di quelli che parlano in quel modo e non capiscono che l’altro non sta capendo. E vanno avanti e fanno magari esempi che non c’entrano nulla con quello che stanno dicendo, hanno quel tono sempre uguale. È pieno di psicopatici… ». Parole inopportune e sciocche (accostare la psicosi, disturbo psichiatrico, all’autismo, disturbo del neurosviluppo, è imperdonabilmente inesatto), ma, soprattutto offensive, che non sono passate inosservate e che hanno suscitato le protese da parte di quelle associazioni che, da tempo, si occupano dei diritti di coloro che soffrono di autismo. «Non è bello prendere in giro noi autistici – ha ribattuto Gianluca Nicoletti, editorialista de La Stampa, dal blog «Per Noi Autistici» –, darci degli psicopatici e usarci come oggetto di scherno». Già, perché è proprio di questo che si tratta: fare del diverso oggetto di ludibrio e trasformare un disturbo in motivo di infamia, delegittimando così, in modo cinico e volgare, i propri avversari e riscuotendo le grasse risate del proprio pubblico. Un pubblico, quello di domenica al Circo Massimo, che, a ben vedere dai video presenti sul web, non si è risparmiato dall’applaudire il proprio leader e che forse, però, non si è interrogato sul dramma vissuto da quelle famiglie che, ogni giorno, devono assistere una persona autistica (secondo il progetto ASDEU, finanziato dalla Commissione Europea, circa un bambino italiano su cento è colpito dall’autismo), lottando contro i pregiudizi e battendosi, incessantemente, per un po’ di dignità e serenità. Ma ciò che fa inorridire è la scelta delle parole, l’uso di un linguaggio violento, che non si interroga su quel che si può o non si può dire e su come, nel caso, lo si debba esprimere. È la politica senza filtri, la stessa per cui – per rifarci alla cronaca degli ultimi giorni – si può ingiuriare con la parola «negra» una signora sul treno. Le parole sono pietre, titola il celebre libro di Carlo Levi. Con esse si possono edificare ponti o costruire muri. Le parole hanno un peso e, per ciò, devono essere ponderate. E non è questione di politicamente corretto (spesso ipocrita e deleterio), ma di gusto e di educazione. Un fatto estetico, prima che etico. Perché, come si insegna ancora nelle facoltà di Lettere, la forma, modo con cui si sceglie di ordinare un contenuto, è fondamentale. E, dunque, pure il linguaggio lo è. Solo che, come diceva Carmelo Bene, il linguaggio, spesso, «ci trapassa» senza che ce ne accorgiamo. E, immancabilmente, rivela chi veramente siamo.