Le ombre lunghe del riscaldamento globale: tra fiumi in piena e tramonti di massa

La tempesta di lunedì scorso, con il suo carico pesante di danni e paura, è stato il segno più forte di un autunno pigro e anomalo. C’è stata perfino – nell’ultimo mese – qualche giornata strana che sembrava un prolungamento d’estate, con un vento caldo che bruciava la pelle e temperature fino a 31 gradi. Non ci siamo preoccupati troppo, ci ha distratto lo splendore dei tramonti – anche quello più intenso del solito -, ci siamo trovati tutti in fila sulle Mura di Città Alta con gli smartphone puntati sull’orizzonte, per catturarne i colori e postarli su Instagram.

Sono bastati un paio di giorni di pioggia, però, per riportarci con i piedi per terra, a fare i conti con tutto ciò che di peggio i cambiamenti climatici portano con sé: fenomeni estremi, insoliti, spiazzanti.  In due giorni cade la quantità d’acqua normalmente attesa nell’arco di un mese. Le cantine si allagano, i raccolti agricoli vanno in malora. Il vento è abbastanza forte da sradicare alberi, scoperchiare tetti, scardinare gli infissi. I fiumi minacciano di esondare, il traffico impazzisce. Come facevano cent’anni fa? Ci siamo chiesti quella sera, alle prese con un lunghissimo blackout, costretti a leggere e finire i compiti a lume di candela invece di guardare film in streaming e aggiornare i social network. Molti sembrano ancora convinti che gli esperti “esagerino” quando parlano di riscaldamento globale e dei suoi effetti devastanti. Cosa deve accadere ancora prima per spingerci a cambiare le nostre abitudini di vita, perché l’ambiente diventi una priorità nelle scelte politiche, e non una medaglia da appuntarsi al petto in periodo pre-elettorale per dimenticarsene subito dopo? Un segnale forte è arrivato nei giorni scorsi dai presidenti delle Conferenze episcopali regionali di Europa, Asia, Africa, America Latina e Oceania, che hanno firmato un appello rivolto ai leader di tutto il mondo in vista della Cop24 sul clima in programma in Polonia a dicembre, perché intervengano per contrastare gli effetti devastanti del riscaldamento globale. Primo obiettivo è limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi. La posta in gioco è molto alta, e i vescovi chiamano in causa la “giustizia intergenerazionale” nei confronti dei giovani e la necessità di tutelare le persone più fragili (e quindi più esposte alle devastazioni del clima). Per farlo, però, è necessario cambiare il “paradigma finanziario”, “trasformare il settore energetico” e “ripensare il settore agricolo”. Resta da vedere se i leader politici risponderanno, se la gente saprà reagire, oppure se il nostro destino è simile a quello che descriveva Noam Chomsky parlando delle rane bollite, che vanno incontro al loro destino senza accorgersi di nulla, felici di nuotare in una pentola piena d’acqua tiepida, finché – quando diventa troppo calda – ormai sono troppo stanche per saltare fuori.

 

(Foto di Gian Vittorio Frau)